LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE



Il concetto di rivoluzione

La parola "rivoluzione” deriva dal latino "revolvere", che significa “far girare intorno" fino a tornare al punto di partenza. Il concetto faceva parte del linguaggio degli astronomi, che lo impiegavano nel suo significato letterale di “ri-volgimento” o “ri-voluzione”, per indicare il movimento completo di un pianeta attorno alla Terra (vedi Niccolò Copernico e il "De revolutionibus orbium coelestium", cioè “Le rivoluzioni delle sfere celesti”).

La parola “rivoluzione” fu introdotta nel linguaggio politico a partire dal 1689, quando apparve in un’opera anonima che trattava delle “Rivoluzioni d’Inghilterra dalla morte del protettore Oliver fino al ristabilimento del re”. Un’altra opera anonima pubblicata in francese nel 1702 presentava gli eventi del 1688-89 come “l’ultima rivoluzione d’Inghilterra”.

Perché il termine passò al linguaggio politico?

Lo storico tedesco Karl Griewank fa notare che, nel trapasso dall'astronomia alla politica, forse deve aver giocato la convinzione astrologica che il movimento dei pianeti era in grado di influenzare le vicende umane. La conclusione è scontata: se i pianeti si "rivolgono", ciò si ripercuote anche sulle vicende umane.

Nel linguaggio storico, il termine "Rivoluzione" indica un rivolgimento radicale di un preesistente sistema sociale, politico ed economico al fine di edificarne uno totalmente nuovo. La rivoluzione è la netta e incontrovertibile rottura con il passato che genera cambiamenti evidenti e profondi.

Nell'immaginario collettivo il concetto evoca, nella mente dei più, un moto violento e repentino, proprio perché queste caratteristiche sono le più evidenti. In realtà, però, il termine "rivoluzione" è legato più al "cambiamento totale" piuttosto che alla sua velocità o modalità. Una rivoluzione, infatti, è anche un processo "processo" lento e lungo, non repentino e non violento, che produce cambiamenti importanti. In questa accezione rientrano rivoluzioni particolari, come la rivoluzione neolitica e la rivoluzione industriale. Quest'ultima, infatti, si è realizzata lungo un periodo medio lungo e ha generato rivolgimenti notevoli in campo economico e sociale.

Per concludere questa premessa, richiamo richiamo la vostra attenzione su un altro aspetto. La Rivoluzione deve essere distinta dai concetti più ristretti di insurrezione e rivolta, entrambi circoscritti all'ambito politico-istituzionale. Il primo indica un movimento armato organizzato per la conquista del potere, mentre il secondo si riferisce a una sollevazione spontanea, non organizzata, generata dalla protesta nei confronti del potere costituito.





Premessa: l’industrializzazione nella prima metà dell’Ottocento.

Nella prima metà dell’Ottocento l’industrializzazione, iniziata nel secolo precedente in Inghilterra, si diffuse anche in Francia, Paesi Bassi e alcune zone dell’Europa del nord. Nonostante questo fenomeno di allargamento al continente europeo, l’agricoltura è ancora l’attività economica principale. In questo settore si inizia a parlare di organizzazione capitalistica della produzione agricola, poiché s'investe con l’obiettivo di aumentare la produzione, sfruttando la terra in maniera più razionale attraverso la nuova meccanizzazione.

In Inghilterra, a partire dal 1830, la meccanizzazione della filatura e della tessitura, produsse una richiesta maggiore di macchine che, a sua volta, generò la crescita del settore siderurgico, già stimolato della domanda proveniente dallo sviluppo delle ferrovie. 

Nei Paesi Bassi, il decollo industriale fu agevolato dai seguenti fattori: disponibilità di materie prime (ferro e carbone); disponibilità di capitali provenienti dal mondo commerciale); agricoltura avanzata capace di soddisfare la domanda alimentare; crescita demografica in grado di fornire sia manodopera alle fabbriche, sia un mercato in grado di sostenere la domanda.
Il maggior sviluppò si ebbe nei settori cotonieri e lanieri che, a loro volta, stimolarono la crescita del settore siderurgico e meccanico, proprio com'era già avvenuto in Inghilterra.

Lo sviluppo industriale toccò anche la Francia e l’area tedesca, ma in modo poco lineare. Dalla seconda metà del secolo, però, anche questi paesi s’imposero come protagonisti nello scenario europeo. Premessa dello sviluppo dell'area tedesca fu la creazione nel 1834 dello Zollverein, un accordo di unificazione doganale in base al quale i dazi doganali tra gli stati tedeschi furono eliminati. Ciò comportò un aumento dei trasporti commerciali, il quale stimolò l’industria ferroviaria che, a sua volta, generò lo sviluppo del settore siderurgico e metallurgico.

Nel caso dell’Italia, l’industrializzazione era in forte ritardo a causa della divisone politica che impediva l’unificazione doganale. Le industrie erano poche e concentrate al nord (Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte).


  La seconda rivoluzione industriale (1850 – 1873)

La seconda rivoluzione industriale, o seconda fase del processo di industrializzazione, fu un fenomeno che ebbe origine dall’industrializzazione già avvenuta in Inghilterra e poi diffusasi in alcune aree europee. Negli anni 1850 – 1873 si realizzò uno sviluppo industriale senza precedenti: la produzione mondiale di carbone, ferro e forza - vapore (quantità di energia prodotta dalle macchine a vapore) si moltiplicò in maniera esponenziale. 

Le differenze con la prima rivoluzione industriale sono le seguenti:

1. industrializzazione dell’Europa e degli Usa;

2. il settore maggiormente interessato fu quello dell’industria pesante (settore siderurgico e meccanico) e non più il tessile;

3. competizione internazionale: il primato inglese era minacciato da altre potenze come Usa e Germania.

4. forte legame tra ricerca scientifica e innovazioni tecnologiche: la scienza trova applicazione industriale; 

5. nascita della questione operaia. Le trasformazioni che avvengono in questo periodo giustificano l’utilizzo del termine “rivoluzione”, poiché l’aspetto sociale (consumo, condizione proletaria, urbanizzazione) ed economico si trasforma in maniera incontrovertibile.

Quali furono le cause della seconda rivoluzione industriale?

Processo di auto alimentazione. La crescita dell’industria in alcuni settori determinava lo sviluppo di altri a essi collegati. La richiesta crescente di macchine stimolava la produzione siderurgica e meccanica. Ciò, a sua volta, generava lo sviluppo dell’industria estrattiva (ferro e carbone) e della metallurgia;

Lo sviluppo delle linee ferroviarie (anima dello scambio commerciale) causò sia lo sviluppo industria pesante (industria siderurgica, meccanica e metallurgica) sia la crescita della produzione generale poiché adesso era più facile raggiungere mercati lontani;

Liberismo. Nel 1776 l’economista scozzese Adam Smith, nell’opera “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, sosteneva che il libero mercato si regola da sé, come se fosse guidato da una mano invisibile, per cui, ciascuno, perseguendo liberamente i propri interessi particolari, contribuiva alla crescita del benessere di tutti. La libertà dei commerci era la chiave della ricchezza. Gli Usa, però,  costituivano un’eccezione, poiché adottarono una politica economica protezionistica. Come mai le industrie di questo stato riuscirono a svilupparsi lo stesso? Il motivo sta nella grande capacità del mercato interno di assorbire i prodotti nazionali;

La scoperta di giacimenti di oro in Australia e California dopo il 1848 aumentò la quantità di oro disponibile sui mercati. Questo fattore, però, pesò in maniera non così decisiva, poiché si erano sviluppate forme di pagamento (cartamoneta, cambiali, assegni) che diminuivano l’importanza dell’oro.

Intervento finanziario di Stati e banche. Nella seconda rivoluzione industriale, i capitali del singolo imprenditore non erano più sufficienti, poiché il settore pesante richiedeva investimenti enormi. Adesso ci sono nuovi metodi di finanziamento: Stati, Banche e le società per azioni (S.p.a). Le Banche divennero la fonte principale di finanziamento delle industrie: raccoglievano i risparmi dei privati in cambio di un interesse e prestavano capitali alle imprese in cambio di un interesse maggiore.  Gli Stati, attraverso commesse, sovvenzioni e politiche economiche di favore (esportazioni o protezionismo), intervenivano con l’obiettivo primario di far sviluppare le industrie. Nelle società per azioni, ogni socio possiede un determinato numero di azioni in cui è suddivisa la proprietà dell’azienda, riducendo i rischi e le somme che ciascuno doveva impiegare. Gli investimenti dunque, divengono più agevoli e i rischi vengono ripartiti fra più soggetti.




Conseguenze della rivoluzione industriale

Dipendenza dell’agricoltura dall’industria

La rivoluzione industriale ebbe effetti sull’agricoltura per i seguenti motivi:

1. l’industria richiedeva maggiori prodotti agricoli sia come oggetto di trasformazione (conservazione derrate alimentari, inscatolamento etc) sia come oggetto di consumo degli operai e della borghesia industriale;

2. lo sviluppo delle ferrovie permise di ampliare le aree agricole verso territori prima incolti, come le praterie nord americane e i terreni della Russia sud orientale, che divennero grani del mondo (ricorda il collegamento con il protezionismo italiano nei confronti del grano americano);

3. meccanizzazione dell’agricoltura e conseguente disoccupazione dei contadini che, andando via dalle campagne, si riversavano nei centri urbani industrializzati e costituivano manodopera a basso costo;

4. l’intreccio con l’industria faceva sì che ogni crisi produttiva industriale produceva i suoi effetti anche nel mondo agricolo.


La Grande Depressione (1873 – 1896)

Con il termine Grande Depressione s’intende una crisi economica da sovrapproduzione legata all’industrializzazione. Fu proprio il successo dell’aumento della produzione a generare la crisi. La saturazione dei mercati provocò la caduta dei prezzi; questa, a sua volta, ridusse i margini di profitto. La concorrenza tra i paesi industrializzati, che vedevano ridotti gli spazi di manovra nei mercati mondiali, si faceva più forte, causando accese tensioni a livello internazionale (Ricordiamo la guerra doganale tra Italia e Francia del 1888).

Si può dire che la crisi fu causata da fattori concomitanti:

1. Il miglioramento tecnologico produsse più beni di quanto il mercato mondiale era capace di assorbire;

2. L’aumento dei paesi industrializzati ridusse gli spazi (i mercati) in cui ogni stato poteva vendere i propri prodotti;

3. I salari bassi del proletariato e dei contadini non permettevano un assorbimento dei prodotti industriali.

La crisi agraria generò una crisi industriale. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione determinò l’arrivo sui mercati europei dei prodotti dell’agricoltura statunitense, che avevano un prezzo concorrenziale dovuto al minore costo di produzione. La concorrenza americana fece crollare i prezzi del grano e di altri prodotti agricoli, generando la crisi di molte aziende agrarie. Ciò ebbe ripercussioni anche sulle industrie legate all’agricoltura (ricordiamo le misure protezionistiche durante la Sinistra storica in Italia).

La Grande Depressione, che aveva  screditato il liberismo, impose manovre correttive:

1. Innanzitutto lo Stato interviene in economia (contraddicendo la teoria liberista) cercando di risollevare le industrie nazionali attraverso politiche economiche protezionistiche, commesse e sovvenzioni.

2. Furono creati i trust, concentrazione di industrie dello stesso settore che elimina la concorrenza attraverso il controllo del mercato. Ciò generava, in tale settore d’intervento, un monopolio (mercato in cui vi è il potere di un solo venditore). Gli industriali prendevano accordi (i cartelli) che uniformavano costi e tariffe e facevano ricorso al dumping, cioè la vendita sotto costo di certi prodotti allo scopo di eliminare la concorrenza e impadronirsi di un mercato. Altra innovazione fu la creazione delle holding, cioè grandi società che avevano il controllo azionario di molte imprese situate in diversi paesi.

3. La crisi cambiò anche l’organizzazione del lavoro e la condizione dei lavoratori. Per abbattere i costi di produzione ed essere più competitivi sul mercato, il ciclo produttivo fu organizzato scientificamente e diviso in ripetitive mansioni elementari che gli operai dovevano svolgere in tempi prestabiliti. Tale innovazione proveniva dallo studio di un ingegnere americano, Frederick Winslow Taylor, che influenzò l’industriale Henry Ford, che fu il primo ad applicare tale metodo alla sua azienda, la cosiddetta catena di montaggio nel 1913 – 14.

La questione sociale

La rivoluzione industriale con i suoi momenti di crisi (Grande Depressione) generò lo sviluppo del movimento operaio. I proletari rivendicavano ritmi di lavoro meno pesanti meno alienanti, maggiore sicurezza sul lavoro, salari più alti e riduzione dell’orario della giornata lavorativa. In quasi tutti i paesi, le lotte operaie furono represse violentemente e l’attività sindacale fu ostacolata dalla legge.



Nel 1864 si era costituita a Londra l’Associazione internazionale dei lavoratori (Prima Internazionale), che riuniva socialisti rivoluzionari (guidati da Marx), riformisti e anarchici (questi ultimi guidati da Bakunin). Il programma, redatto e ideato da Karl Marx, si proponeva la conquista del potere politico da parte dei lavoratori attraverso una loro unione di respiro internazionale. In sintesi, obiettivo fondante era la distruzione dello Stato borghese e l’instaurazione di governi a guida proletaria.

All’interno dell’Associazione nacquero contrasti sulla linea da seguire:

Marx e i socialisti rivoluzionari sostenevano la necessità della rivoluzione operaia e dell’instaurazione della dittatura del proletariato; premesse fondamentali per raggiungere questi obiettivi erano l’educazione politica e la coscienza di classe;

i socialisti riformisti pensavano che fosse necessario un processo graduale tramite riforme, attraverso l’assorbimento e gli accordi con lo stato liberale;

gli anarchici, contrari alla dittatura del proletariato poiché rigenerava le forme di uno stato autoritario, volevano eliminare ogni forma di governo a lasciar posto a una federazione di liberi comuni scevri da ogni forma di potere imposto.

I forti contrasti tra anarchici e socialisti portarono alla formazione dell’Internazionale anarchica (1872), mentre lo scioglimento della Prima Internazionale avvenne a New York 1876.

La Prima internazionale era sorta in contrapposizione alla natura antidemocratica degli Stati – nazione. Marx aveva intravisto, nella lotta operaria, una “classe internazionale” che poteva contagiare il seme della rivoluzione in tutta Europa e nel mondo. Il fatto che darà ragione a Marx, almeno in parte, fu la Comune di Parigi. La popolazione parigina e la Guardia nazionale, al cui interno si erano diffuse idee socialiste, non accettarono l’armistizio siglato da Thiers, in base al quale la capitale sarebbe stata occupata dalle truppe prussiane. Nel 1871 l’insurrezione fu guidata da operai, artigiani e commercianti e fu stabilito il governo della Comune di Parigi, che per due mesi resse la città  secondo un programma socialista: suffragio universale, proprietà collettiva dei mezzi di produzione, cariche pubbliche revocabili, confische dei beni della Chiesa, divieto del lavoro notturno. Tale esperimento politico socialista ebbe vita breve: il 2 aprile 1871 Parigi fu assediata dal governo di Versailles con il massacro di 20.000 parigini. Nonostante la sconfitta, adesso i governi socialisti sembravano davvero realizzabili. Nel 1883 moriva K. Marx.


La Seconda Internazionale, fondata nel 1889, si proponeva gli obiettivi di collegare gli operai di tutto il mondo e sovvertire lo stato borghese, simbolo dell’oppressione. La guida del movimento fu assunta dal Partito Socialdemocratico tedesco, influenzato dalle idee F. Lassalle, che proponeva un riformismo pronto al dialogo con lo Stato borghese per modificare gradualmente il sistema capitalistico. Questa posizione, chiamata revisionista a causa della critica del concetto di rivoluzione, fu assunta da E. Bernstein. In opposizione, troviamo la visione massimalista di Rosa Luxemburg, che rifiutava ogni collaborazione con lo Stato borghese.

Uno degli obiettivi pratici dell’Internazionale fu la richiesta ai governi di stabilire per legge la giornata lavorativa di otto ore. Uno degli stimoli fu l’evento dei “martiri di Chicago”: il primo maggio del 1886, in occasione di uno sciopero, otto operai erano stati arrestati e condannati a morte perché ritenuti responsabili di aver lanciato delle bombe.

                                                   

Aumento dei flussi migratori

L’incremento demografico comportò in molte zone miseria e fame: unica soluzione fu emigrare in terre in forte espansione economica come gli USA.

Aumento delle tensioni internazionali

La necessità di far sviluppare le economie nazionali produrrà scontri tra i diversi paesi industrializzati, sia per la ricerca di mercati dove immettere i propri prodotti, sia per l’approvvigionamento delle materie prime.

Dottrina sociale della Chiesa

Nel 1871, il vescovo di Magonza Wilhelm Emmanuel von Ketteler pubblicò due opere “Liberalismo, socialismo, cristianesimo” e “La questione operaia e il cristianesimo”, in cui contrapponeva il pensiero sociale della Chiesa agli abusi del capitalismo e all’ateismo materialistico di Marx. Il 5 maggio 1891, Papa Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum novarum, che riproponeva la posizione già espressa dal vescovo von Ketteler e aggiungeva che l’operaio ha diritto a una “giusta mercede” (salario, retribuzione, compenso) e che lo Stato deve intervenire a favore dei ceti meno abbienti. Una delle affermazioni più importanti riguarda il tema dello sciopero: 

“Il troppo lungo gravoso lavoro, e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero. A questo sconcio grave e frequente occorre che ripari lo Stato; perché tali scioperi non recano danno ai padroni solamente e agli operai medesimi, ma al commercio e ai comuni interessi; e per le violenze e i tumulti, a cui di ordinamento danno occasione, mettono spesso a rischio la pubblica tranquillità, Il rimedio poi, in questa parte, più efficace e salutare si è prevenire il male con l’autorità delle leggi e impedirne lo scoppio, rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere tra operai e padroni il conflitto”. 

In sostanza, la Chiesa poneva la soluzione evitando la lotta di classe, attraverso la composizione del conflitto, mediante una collaborazione tra le classi mediata dallo Stato. La proprietà privata non era rifiutata, ma era necessario evitare gli eccessi dello sfruttamento capitalistico. Papa Leone XIII rappresentava una svolta, poiché la Chiesa scendeva in campo nella questione sociale e permetteva ai cristiani di sostenere politicamente quei liberali vicini al pensiero del cristianesimo.

Le maggiori scoperte scientifiche della seconda rivoluzione industriale

Nel 1866 Alfred Nobel scopre la dinamite.
Nel 1876 Alexander Graham Bell costruì il telefono (inventato dall’italiano Antonio Meucci).
Nel 1877 Thomas Edison realizzò il fonografo.
Nel 1878 Thomas Edison inventa la lampadina. Nel 1882 Milano, New York e Londra erano dotate d’illuminazione stradale elettrica.
Nel 1893 iniziò la produzione dell’aspirina, brevettata dalla ditta tedesca Bayer.
Nel 1895 Guglielmo Marconi costruì il telegrafo sena fili.

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