FICHTE E L'IO ASSOLUTO


 

Il problema della morale kantiana

Nella critica della ragion pratica c’è una questione che rimane irrisolta: la volontà umana riuscirà ad adeguarsi perfettamente alla ragione legislatrice? L’ uomo sarà davvero partecipe del regno noumenico?

Ricordiamo che l’uomo “tendenzialmente” potrebbe liberarsi dagli istinti e obbedire al dovere morale, ma nella realtà dei fatti adeguare totalmente la volontà alla ragione è impossibile. Insomma, il noumeno, anche dal punto di vista etico, rimane irraggiungibile.

Ciò, però, ha delle ricadute negative sulla libertà della morale: nella realtà, e secondo una prospettiva storica, l’umanità riuscirà a “razionalizzare”, “umanizzare”, “moralizzare” il mondo interiore della natura (egoismi e istinti passionali)? L’uomo avrà un reale progresso morale basato sulla libertà dalle pulsioni? L’esistenza della cosa in sé ci dice che, nella realtà umana, questo progresso non avverrà, poiché nella morale kantiana la libertà piena e la razionalità pura avranno posto solo nel regno noumenico. 

La soluzione di Fichte

Fichte, allora, decide di eliminare la cosa in sé e ridurre tutto al soggetto, sia dal punto di vista gnoseologico che (ontologico) metafisico. Soltanto l’idealismo garantisce l’esistenza della libertà

Questo è il punto di partenza di Fichte, la cui esigenza principale è realizzare la libertà e la moralità. La ragione può, così, razionalizzare (spiritualizzare, umanizzare) la natura (in Kant era una mera ipotesi, un’esigenza razionale).

La possibilità dell’Io di essere, non semplice e passivo organizzatore di una realtà autonoma (critica della ragion pura), ma creatore della sua realtà (critica della ragion pratica), fa sì che sia esso stesso a dare un senso al mondo, un senso razionale. L’Io diventa creatore sia sul piano teoretico sia sul piano pratico. Alla metafisica dell’oggetto subentra la metafisica del soggetto, unica capace di salvare la libertà posta da Kant.


SPIRITO – IO – ASSOLUTO - RAGIONE, ovvero DIO

Ma cos'è l’Io
È l’umanità con la sua razionalità (o anche intelligenza) nel suo “complesso” e nel suo sviluppo storico. È lo Spirito o l’Assoluto dell’Idealismo. 

In Fondamento dell’intera dottrina della scienza, Fichte afferma che se l’Io produce la realtà, vuol dire che fonda non solo il sapere (come voleva Kant con l’Io penso), ma fonda anche il reale (l’essere): l’ordine del mondo della natura e il suo senso (come vedremo fra poco) derivano dall'uomo. Ecco perché si parla di Idealismo ontologico o metafisico.

Se la realtà ontologica proviene dall'Io, all'infuori del quale non vi è nulla, vuol dire che esso, cioè l’Io, è l’Assoluto. Una delle conseguenze più controverse dell’Idealismo di Fichte è l’affermazione secondo cui l’uomo è Dio. Ciò significa che la chiave di spiegazione dell’essere risiede nell'uomo e non in un Dio esterno. Il Dio della religione, secondo Fichte, è falso (Ateismo). 


                                             

La dialettica di Fichte

Nella Dottrina della scienza (1794), Fichte espone le tappe dialettiche (i tre principi) attraverso cui l’Io impone la razionalità al mondo della natura. Il filosofo, dall'osservazione della storia e della natura dell’uomo e del suo progresso razionale, astrae delle tappe dialettiche che esprimono l’emancipazione razionale dell’Uomo.

1. Tesi - I principio: l’Io pone se stesso
Ogni oggetto è tale in quanto è oggetto per la coscienza. Ma per oggettivare l’oggetto, si deve prima porre in essere la coscienza. Come fare? Secondo Fichte la coscienza deve porre se stessa come principio di tutto e cioè deve farsi autocoscienza, cioè come coscienza di sé.

2. Antitesi - II principio: l’Io pone il Non – io
Perché l’Io deve porre il Non – io? Perché l’Io, per realizzarsi, deve avere coscienza di qualcosa di estraneo: ad esempio, gli impulsi sensibili del mondo naturale. Proprio questo impulso renderà l’uomo consapevole di essere Spirito, Ragione, Io assoluto. 

In altre parole:
l’Io, per realizzare se stesso come conoscenza e come moralità, ha bisogno dell’ostacolo che genera consapevolezza di sé come soggetto libero. Come già diceva Kant, se non vi è sforzo (streben), non vi è azione morale. La realtà del Non – io, comunque, è interna all'Io, ma sembra esterna poiché è inconscia. 

3. Sintesi - III principio: l’Io oppone, nell'Io, al Non – io divisibile un Io divisibile. Questa è la situazione concreta del mondo in cui ogni soggetto divisibile (cioè molteplice: l’individuo concreto) si trova davanti un oggetto come ostacolo da superare. Troveremo, allora, degli io finiti ed empirici (gli uomini) che tendono a diventare Io infinito, cioè soggetti razionali sempre più liberi dagli impulsi sensibili, nell'intento di razionalizzare la propria stessa natura, fatta di egoismo e di istinti irrazionali. Non è altro che il compito morale che già aveva predisposto Kant e che Fichte intende come una missione, cioè come adeguamento della volontà alla legge della ragione


Questo obiettivo si realizzerà una volta per tutte?

La risposta è no, poiché se si realizzasse, l’Io cesserebbe di esistere, poiché esso è tale solo come sforzo dialettico (libertà). Il compito, dunque, è infinito. L’Io, così, è infinito sforzo verso la libertà e la spiritualizzazione (razionalizzazione) del mondo esterno. Ciò che conta è lo sforzo indefinito di auto – perfezionamento. Questo compito morale infinito che non si realizzerà mai e, quindi, che non permette l’adeguamento di essere e dover essere, verrà aspramente criticato da Hegel come “cattivo infinito”.


Sforzo: Spirito e materia

A questo punto emerge con chiarezza la funzione della natura materiale: assume una funzione secondaria, poiché essa esiste solo per lo Spirito, come scena dell’attività dell’Io. Lo Spirito, cioè, per realizzarsi come intelligenza e libertà, per imporre la sua forma razionale al mondo, ha bisogno dell’opposizione dialettica della natura materiale. È la teoria dello Streben (sforzo). Tutto questo discorso, di matrice kantiana, serve a far comprendere che la moralità, per potersi imporre, ha bisogno dell’ostacolo. Ecco che il non – Io (cioè l’egoismo e l’impulso sensibile materiale) è necessario per far sì che il soggetto possa imporre il dovere razionale morale. Detto altrimenti: lo sforzo di liberarsi dagli impulsi, mostra che l'uomo è libertà.


Riassumendo il discorso sull'Assoluto, esso:

1. È l’insieme degli io finiti (gli uomini)
2. Non ha alcunché al di fuori di sé; 
3. È infinito sforzo morale di spiritualizzare il mondo;
4. Il Dio della religione è falso: ateismo fichtiano. Solo un Assoluto che sia “sforzo” morale ha dignità divina (l’Umanità).
5. L’Assoluto rimane, però, un mero fattore di percezione coscienziale. Non è un Dio Assoluto cosmologico: l’argomento non è affrontato da Fichte.
6. La natura materiale esiste solo in funzione dell’Io: non hanno un senso in sé. 
L’io è infinito sia in quanto creatore di tutta la realtà (materiale e spirituale) sia in quanto sforzo mai compiuto di adeguare la realtà empirica alla ragione.

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