Parte
I - BORGHESI E PROLETARI
La storia di ogni società è stata
finora la storia di lotte di classe.
Uomo libero e schiavo, patrizio e
plebeo, barone e servo della gleba, membro di una corporazione e artigiano, in breve
oppressore e oppresso si sono sempre reciprocamente contrapposti, hanno
combattuto una battaglia ininterrotta, aperta o nascosta, una battaglia che si
è ogni volta conclusa con una trasformazione rivoluzionaria dell'intera società
o con il comune tramonto delle classi in conflitto. Nelle precedenti epoche
storiche noi troviamo dovunque una suddivisione completa della società in
diversi ceti e una multiforme strutturazione delle posizioni sociali.
Nell'antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo,
feudatari, vassalli, membri delle corporazioni, artigiani, servi della gleba, e
ancora, in ciascuna di queste classi, ulteriori specifiche classificazioni. La
moderna società borghese, sorta dal tramonto della società feudale, non ha
superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto
delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme
della lotta fra le classi. La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si
caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe.
L'intera società si divide sempre
più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano
direttamente: borghesia e proletariato.
La grande industria ha creato il
mercato mondiale, il cui avvento era stato preparato dalla scoperta
dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno smisurato impulso allo sviluppo
del commercio, della navigazione, delle comunicazioni terrestri. Tale sviluppo
ha a sua volta retroagito sulla crescita dell'industria. E nella stessa misura
in cui crescevano industria, commercio, navigazione, ferrovie si sviluppava
anche la borghesia. Ed essa accresceva i suoi capitali e metteva in ombra tutte
le classi di origine medievale.
La borghesia non può esistere
senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, dunque i
rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. La prima condizione di
esistenza di tutte le precedenti classi industriali era invece la conservazione
immutata del vecchio modo di produzione. L'ininterrotta trasformazione della
produzione, il continuo sconvolgimento di tutte le istituzioni sociali,
l'eterna incertezza e l'eterno movimento distinguono l'epoca della borghesia da
tutte le epoche precedenti.
La borghesia ha strutturato in
modo cosmopolitico la produzione e il consumo di tutti i paesi grazie allo sfruttamento
del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto
all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime industrie nazionali
sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano,
industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni
civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle
provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati
solo
nel paese stesso ma, insieme, in
tutte le parti del mondo.
La borghesia ha sottomesso la
campagna al dominio della città. Essa ha creato enormi città, ha notevolmente aumentato
la popolazione urbana rispetto a quella delle campagne, strappando così
all'idiotismo della vita di campagna una parte importante della popolazione.
Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso dipendenti i paesi
barbarici o semibarbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da quelli
borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
La borghesia tende sempre più a
superare la frammentazione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione.
Essa ha agglomerato la popolazione, centralizzato i mezzi di produzione e
concentrato la proprietà in poche mani. La conseguenza necessaria era la
centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi,
leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un
unico governo, un'unica legge, un
unico interesse di classe
nazionale, un'unica barriera doganale.
I mezzi di produzione e di
scambio sul cui fondamento si è sviluppata la borghesia furono creati nella
società feudale. A un certo stadio dello sviluppo di questi mezzi di produzione
e di scambio, i rapporti entro cui la società feudale produceva e scambiava,
l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i
rapporti feudali di proprietà, non rappresentavano più lo sviluppo raggiunto
dalle forze produttive. Più che stimolare la produzione, tali rapporti la
ostacolavano. Tanto da trasformarsi in altrettante catene. Dovevano essere
spezzati e furono spezzati.
Il lavoro dei proletari ha perso
ogni tratto di autonomia e quindi ogni stimolo per il lavoratore a causa dell'espansione
delle macchine e della divisione del lavoro. Il lavoratore diventa un mero
accessorio della macchina. Da lui si pretende solamente il più facile, il più
monotono, il più elementare movimento. Il suo costo è limitato quasi esclusivamente
ai mezzi di sostentamento di cui egli necessita per sopravvivere e per
garantire il futuro della sua razza. Il prezzo di una merce, dunque anche del
lavoro, è però pari ai suoi costi di produzione. Più il lavoro è ripugnante,
più
diminuisce per conseguenza il
salario.
Per opprimere una classe, occorre
assicurarle condizioni tali da permetterle almeno di sopravvivere in schiavitù.
Il servo della gleba si è elevato a membro del Comune continuando a lavorare
come servo della gleba, così come il piccolo borghese si è fatto borghese sotto
il giogo dell'assolutismo feudale. Al contrario, il lavoratore moderno, invece di
elevarsi con il progresso dell'industria, tende a impoverirsi rispetto alle
condizioni di vita della sua classe. Il lavoratore diventa povero, e la povertà
si sviluppa più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Emerge così chiaramente
che la borghesia non è in grado di restare ancora a lungo la classe dominante
nella società e di dettarvi legge alle sue condizioni. La borghesia è incapace
di governare perché non è in grado di garantire l'esistenza ai suoi schiavi
all'interno del suo stesso schiavismo, perché è costretta a lasciarli
sprofondare in una condizione che la costringe a nutrirli, anziché esserne nutrita.
Parte
II - PROLETARI E COMUNISTI
Il primo compito dei comunisti è
identico a quello di tutti gli altri partiti proletari: costituzione del
proletariato in classe, annientamento del dominio della borghesia, conquista
del potere politico da parte del proletariato.
La moderna proprietà privata
borghese è l'ultima e più compiuta espressione della creazione e
dell'appropriazione dei prodotti fondata su contrapposizioni di classe, sullo
sfruttamento degli uni da parte degli altri. In tal senso i comunisti possono
riassumere la loro teoria in questa singola espressione: abolizione della
proprietà privata.
Il capitale non è quindi un
potere solo personale, è un potere sociale. Se allora il capitale viene
trasformato in proprietà collettiva, che appartiene a tutti i membri della
società, in tal modo non si muta una proprietà privata in una proprietà
collettiva. Cambia solo il carattere sociale della proprietà. Essa perde il suo
carattere di classe.
Abbiamo già visto sopra che il
primo passo nella rivoluzione dei lavoratori è l'elevazione del proletariato a
classe dominante, la conquista della democrazia. Il proletariato userà il suo
potere politico per strappare progressivamente alla borghesia tutti i suoi
capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello
Stato, dunque del proletariato organizzato in classe dominante, e per
moltiplicare il più rapidamente possibile la massa delle forze produttive.
In un primo momento ciò può
accadere solo per mezzo di interventi dispotici sul diritto di proprietà e sui
rapporti di produzione borghesi, insomma attraverso misure che appaiono
economicamente insufficienti e inconsistenti, ma che nel corso del movimento si
spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione
dell'intero modo di produzione.
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