Il crollo della borsa di New York



Con il termine Crisi del ’29 – detta anche Crollo di Wall Street o The Big Crash - s’intende il crollo della borsa di New York del 29 ottobre del 1929 alla quale è seguita una crisi economica e finanziaria mondiale chiamata Grande Depressione, la più diffusa (in quasi tutto il mondo) e lunga (circa 10 anni) mai esistita.

IN QUALE CONTESTO È NATA LA CRISI?

Analizziamo i fattori condizionanti che, avviluppandosi l’uno l’altro, hanno favorito il Big Crash.

Il contesto economico – politico:
1. Integrazione economica mondiale
2. Il decennio repubblicano
3. Il Boom economico degli Stati Uniti d’America
4. La contrazione dell’economia degli Stati Uniti d’America e la sovrapproduzione
5. Il senso di entusiasmo e i fenomeni speculativi
6. La responsabilità delle banche

1.Integrazione economica mondiale

Negli anni Venti si era creato un complesso e integrato mercato mondiale, in cui vi era la libera circolazione di uomini, merci e capitali. Questo sistema, come aveva denunciato John Maynard Keynes fin dal 1919, era profondamente squilibrato. Un’eventuale mutamento in un punto di questo intreccio, avrebbe procurato conseguenza in buona parte degli Stati del mondo.

2.Il decennio repubblicano

Durante gli anni Venti la presidenza degli Usa, detenuta dal partito repubblicano, attuò una politica economica liberista. I provvedimenti principali furono i seguenti:
a)prevalenza delle imposte indirette - quelle che gravano sui consumi e colpiscono tutta la popolazione in egual maniera, a prescindere dal reddito;
b)diminuzione delle imposte dirette  - quelle che gravano sui redditi in maniera progressiva;
c)diminuzione della misure di Welfare, cioè diminuzione della spesa pubblica rivolta al sostegno delle classi più povere;
d)basso tasso d’interesse dei prestiti – l’accesso al credito era più agevole e aumentavano gli investimenti e la circolazione monetaria.

3.Il circolo virtuoso del boom economico degli Stati Uniti d’America

Dopo la Grande Guerra gli Stati Uniti conobbero un periodo di prosperità.  I settori automobilistico, metallurgico, petrolifero, dei trasporti e quello edile s’intrecciarono in un circolo virtuoso di reciproco stimolo alla produttività. I bassi tassi d’interesse dei prestiti garantivano un accesso al credito che favoriva gli investimenti delle aziende, le quali potevano aumentare la produttività. Negli Anni ruggenti la produzione industriale salì del 64% fu favorita dal consumo di massa. Le innovazioni della seconda rivoluzione industriale, le nuove tecniche pubblicitarie, la nuova distribuzione dei grandi magazzini e l’introduzione dei pagamenti rateali, crearono un mercato che prometteva all’industria americana, di poter assorbire tutto quanto essa fosse in grado di produrre.

4.La contrazione dell'economia statunitense e la sovrapproduzione

L’industria, dunque, non poneva freno alla produzione. Nella seconda metà degli Anni Venti, però, tre fattori hanno generato una battuta d’arresto all’economia americana: 
a) modernizzazione dell’agricoltura: essa che generava disoccupazione del ceto contadino e sovrapproduzione
b) la produzione industriale e agricola aumentava più dell’aumento dei salari, il che generava l’incapacità del mercato di assorbire la produzione, generando sovrapproduzione  
c) ridotta capacità degli Stati europei d'importare beni e prodotti statunitensi a causa della recessione post guerra: questa contrazione delle esportazioni inciderà sulla sovrapproduzione americana
Spieghiamo questi punti. A causa di questi fattori, infatti, la massiccia e veloce produttività agricola e industriale – (cioè l’offerta) superava la domanda. La saturazione del mercato era dovuta non solo alla diminuzione delle esportazioni in Europa, ma anche dal mercato interno, poiché i salari del ceto medio non erano in grado di assorbire la produttività americana. Inoltre, nelle campagne la meccanizzazione aveva prodotto disoccupazione, dunque una flessione dei consumi del ceto contadino. Insomma, per stare dietro alla crescita dell’offerta (produzione), i salari sarebbero dovuti crescere con la stessa velocità, cosa che non avvenne. Sebbene il ceto medio stava meglio di anni addietro, non era in grado di assorbire la una sfrenata produzione, il mercato si era saturato. Questo, a sua volta, generò l’abbassamento dei prezzi dei prodotti. I profitti dei produttori si contraggono così come i redditi loro connessi. 

5.Il senso di entusiasmo e i fenomeni speculativi

Il grande sviluppo economico generò molta fiducia nella produttività industriale; il diffuso ottimismo portò i cittadini privati a investire in azioni, cioè piccole quote del capitale delle imprese. La percezione della forza industriale e del benessere alimentavano, nella coscienza dell’opinione pubblica, la fiducia che le imprese quotate in borsa avrebbero venduto i propri prodotti. Questo ottimismo faceva aumentare il valore delle azioni, generando guadagni per gli azionisti. Tra il 1922 e il 1929, la fiducia nei facili guadagni aveva incrementato l'indice azionario del 500%; al contempo, però, si era creato un divario tra il valore reale dei titoli e delle merci e la loro quotazione azionaria, che dal ’27 in poi cominciò a crescere senza sosta. Detto altrimenti, mentre da un lato la sovrapproduzione stava generando la caduta dei prezzi, dall’altro lato i fenomeni speculativi avevano aumentato il valore delle azioni corrispondenti. Insomma la crescita azionaria era fittizia, poiché era dovuta a fenomeni speculativi e non a una reale produttività del capitale cui le azioni erano collegate. In questo caso si parla di Bolla speculativa.



6. La responsabilità del sistema bancario e i prestiti per acquistare azioni

La Federal Reserve – la banca centrale americana – oltre a esercitava uno scarso controllo sulle banche del paese, aveva reso disponibili a banche e privati un’enorme quantità di liquidità per l’acquisto di azioni. Ciò generava un facile accesso al prestito che alimentava la speranza di facile arricchimento (il senso di entusiasmo richiamato prima), specie per il ceto medio. Questo spiega il boom di compravendita di titoli, che generava fenomeni speculativi che ne facevano rialzare i prezzi. Come avveniva il prestito? Le banche prestavano i soldi agli operatori di borsa che, a loro volta, concedevano prestiti ai privati per acquistare i titoli. Gli investitori, a loro volta, fornivano come garanzia i titoli stessi. 

IL CROLLO DELL'INDICE DI WALL STREET

Nel marzo e nel settembre del 1929 il mercato azionario registrava un’accentuata tendenza al ribasso. Nell'ottobre del 1929 si verificò una brusca correzione dei prezzi azionari, cioè una discesa rapida del costo delle azioni. A cosa fu dovuta? Questo fenomeno accade quando le azioni, dopo esser cresciute per molto tempo ad un livello soddisfacente, vengono vendute dai possessori per godere dei benefici maturati. La vendita causa un ribasso improvviso. Questo ha un effetto psicologico notevole: altri investitori si affrettano per rivendere le azioni al fine di non rischiare una discesa pericolosa che farebbe perdere tutto. Insomma, s’instaura un circolo vizioso che porta tutti a vendere in maniera frenetica. Il tutto, chiaramente, è condizionato e intensificato anche dal sensazionalismo dei mass media, che alimenta il panico già diffuso.
Il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero)13 milioni di azioni furono vendute senza limite di prezzo; il 28 ottobre e il 29 ottobre (martedì nero) furono vendute circa 16 milioni di azioni. Questo fenomeno di vendita incontrollata, fece crollare il prezzo dei titoli: la spinta euforica che aveva condotto all’acquisto delle azioni, adesso si volgeva al contrario, verso una disperata corsa alla loro vendita, generando fenomeni di panico generale. 

CONSEGUENZE

Stati Uniti d’America 

La reazione del governo Hoover

Il governo Hoover, improntato alla linea liberista, sosteneva che lo Stato non doveva intervenire né per salvare le banche né con altre misure atte a contenere la crisi, nella convinzione che il mercato si sarebbe autoregolato senza bisogno di interventi esterni (il motto liberista del laissez-faire).
Ad aggravare la situazione contribuì il rifiuto delle autorità finanziarie (Federal Reserve) e politiche sia di abbassare i tassi di interessi sia di abbandonare la parità del dollaro con l’oro. Questi provvedimenti avrebbe incoraggiato gli investimenti e svalutato il dollaro in modo da avvantaggiare le esportazioni; ciò a sua volta avrebbe sostenuto la produzione. Il motivo del rifiuto fu il timore che tale svalutazione avrebbe portato ad una crescita insostenibile del debito pubblico. Hoover si orientò, dunque, verso una politica protezionistica (Smoot-Hawley tariff act).

Le ricadute sulla popolazione americana

La caduta della borsa colpì la media borghesia che nel corso degli anni Venti aveva sostenuto la domanda di beni di consumo e soprattutto aveva investito i proprio risparmi in borsa. La loro diminuita capacità d’acquisto indeboliva le industrie produttrici di beni di consumo durevole (come quello dell'auto). Queste industrie cessarono di commissionare materiali a quelle operanti negli stessi settori, le quali dovettero ridurre il personale e ridurre i salari, provocando una contrazione dell’occupazione. Inoltre, il fallimento di molte banche ha bruciato i risparmi del ceto medio. 

Il settore produttivo

I prezzi di prodotti agricoli, del cotone e delle materie prime non agricole crollarono. La produzione industriale diminuì, trascinando con sé i settori di produzione di acciaio e ghisa, di carbone, di automobili. Fallirono più di diecimila banche e circa un milione di fattorie. La disoccupazione negli Stati Uniti raggiunse la cifra record di dodici milioni
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Resto del mondo

Conseguenze economiche generali

La depressione economica ebbe effetti devastanti sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. Le risposte dei vari paesi a livello mondiale furono unilaterali e indirizzate verso il protezionismo, al fine di proteggere i produttori interni. La mancanza di un coordinamento mondiale causò il prolungamento della crisi. 
Molti paesi svalutarono la moneta per favorire le esportazioni; ciò rappresentava una deviazioni dalla dottrina classica del liberismo, poiché la svalutazione implicava l’aumento del debito pubblico e l’intervento statale in economia.  La crisi produttiva - legata anche ad una minore capacità di sostegno proveniente dalle banche – produsse una contrazione del commercio internazionale tra 1929 e 1933 di circa i due terzi. Al livello sociale crebbe ovunque la disoccupazione, diminuirono i redditi delle persone fisiche, il gettito fiscale, i prezzi e i profitti, con ricadute ovviamente sulla capacità di creare la domanda. 

Conseguenze politiche generali

In linea generale è sorta una forte sfiducia nei confronti della democrazie e della capacità del libero mercato di correggere la crisi. In molti paese si è rafforzata la credibilità dei regimi totalitari e della loro politica economica statalista.

Germania

Nel 1924 il Piano Dawes aveva dato il via ai prestiti di capitali americani per finanziare la ricostruzione economica tedesca, necessaria al fine di renderla capace di poter pagare debiti e indennizzi di guerra. Con la crisi del ’29, il flusso dei finanziamenti americani in Germania si arrestò. La produzione industriale tra il 29 e il 32 diminuì del 50%. Piccole industrie e imprese di artigianato fallirono. Perché la Germania non optò per la svalutazione della moneta, come ad esempio aveva fatto la Gran Bretagna e come faranno gli Usa? La Germania non poteva svalutare la moneta poiché era vivo il ricordo delle crisi inflattiva del 1923. Il cancelliere Bruning, invece, decise di attuare una politica deflazionistica, cioè di diminuzione dei prezzi, poiché voleva evitare il terribile aumento dei prezzi del 1923. La scelta di Bruning, sebbene andasse incontro al limitato potere d’acquisto dei ceti medi, in realtà non agevolava i produttori. Inoltre, il contenimento della spesa pubblica e la compressione dei salari contribuivano ad aumentare il malcontento proprio dei ceti medi e di quelli meno abbienti. Le scelte politiche tedesche, così, conducevano alla recessione, poiché la Germania non era in grado di reggere la concorrenza generale. L’interruzione della ripresa economica e il conseguente malessere sociale generato dalle politiche economiche di Bruning, spostarono i consensi verso gli estremismi di destra (nazismo) e sinistra (comunismo). La repubblica di Weimar vacillava. L’opposizione parlamentare alle misura impopolari di Bruning, lo condussero a far spesso ricorso all’art. 48 della costituzione di Weimar che, in casi di emergenza, autorizzava il governo a fare decreti - legge senza il parlamento. Nel 1930 Bruning, al fine di avere un legislativo collaborativo alle sue scelte economiche, sciolse il parlamento per rafforzare la maggioranza: comunisti e nazisti, nemici della repubblica di Weimar, ottennero un grande successo( 6,5 milioni nazisti; 4 milioni comunisti; i partiti di centro (compresi i cattolici di Bruning) e socialdemocratici s’indebolirono.

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