IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO


Che cos'è il debito pubblico

Il debito pubblico è il debito che lo Stato contrae nei confronti di soggetti economici (nazionali o esteri) quali individui, imprese, banche o Stati, i quali hanno sottoscritto un credito attraverso l'acquisizione di obbligazioni o titoli di stato (in Italia BOT, BTP, CCT, CTZ e altri). Insomma, lo Stato chiede soldi a degli investitori, i quali acquistano una porzione del debito sotto forma di titoli di debito.

Perché uno Stato contrae il debito?

Uno Stato contrae il debito per acquisire liquidità utile a:

1. Finanziare la propria crescita economica (investimenti) 
2. Pagare i servizi pubblici 
3. Finanziare il proprio deficit di bilancio (cioè il disavanzo, la situazione in cui le uscite superano le entrate)
4. Pagare un debito precedente e i suoi interessi (rifinanziamento del debito pubblico)


Quanti tipi di debito esistono?

Esistono diverse categorizzazioni del debito pubblico.

In base alla nazionalità del creditore:

a. Debito estero: il debito è contratto con soggetti economici stranieri
b. Debito interno: il debito è contratto con soggetti economici nazionali;

In base all’amministrazione debitrice:

a. debito pubblico dell'amministrazione centrale
b. debito pubblico dell’amministrazione periferica (enti territoriali e locali)

In base alla scadenza:

a. debito fluttuante a breve termine: contratto per far fronte a momentanee esigenze, per un periodo non superiore alla durata di un anno e non viene iscritto in bilancio;

b. debito consolidato: contratto per far fronte a necessità che superano le ordinarie possibilità, esso viene iscritto in bilancio. A sua volta si distingue in redimibile (lo Stato rimborsa il capitale e gli interessi in modalità e tempi prestabiliti) – questo debito costituisce le obbligazioni; irredimibile (lo Stato paga gli interessi a tempo indefinito e rimborsa il capitale quando lo ritiene più conveniente) – questo debito costituisce le rendite.

Si parla di debito sostenibile quando uno Stato dimostra di poter pagare gli interessi maturati e di rimborsare le quote di capitale in scadenza o di sostituirle con titoli nuovi. Quando lo Stato ha un debito non sostenibile, poiché troppo elevato e con una crescita economica bassa (PIL), esso perde di credibilità sui mercati finanziari e i tassi d’interesse sul debito aumentano.


Come si risana il debito pubblico?

Ci sono due vie per risanare il debito pubblico:

1. Il debito pubblico può essere risanato attraverso politiche di bilancio pubbliche di austerità:

A. aumento delle imposte e delle tasse
B. recupero dell’evasione fiscale
C. spending review: riduzione della spesa pubblica, con tagli alla sanità, all'istruzione o ad altri servizi pubblici
D. privatizzazioni di enti e proprietà pubbliche

2. Il debito pubblico può essere risanato attraverso politiche di bilancio di tipo espansivo:

a. immissione di liquidità 
b. stimolando la crescita economica e relativo PIL con aumento del relativo gettito fiscale.

Debito pubblico/PIL

Per valutare la salute finanziaria di uno Stato, non si deve guardare il valore assoluto del debito pubblico ma il suo rapporto con il PIL, cioè il Prodotto Interno Lordo (il valore totale dell’attività produttiva di un Paese  e dei relativi guadagni). Paesi con un debito pubblico altissimo – Giappone e Stati Uniti – hanno una solidità finanziaria maggiore, poiché il PIL riesce e star dietro al debito. Insomma, in questi paesi c’è una crescita tale da controbilanciare l’indebitamento. Altri paesi con un debito pubblico non molto alto, invece, hanno rischiato il default poiché la crescita economica era così debole da non riuscire a finanziare neanche un debito con un valore assoluto basso. 

Perché il debito pubblico italiano è sotto l’occhio del ciclone?

In Italia le politiche degli ultimi trent'anni hanno creato elevato spesa improduttiva e pochi investimenti utili all'espansione economica. La crescita della ricchezza è troppo bassa rispetto alla crescita del debito. Se l’Italia avesse una crescita maggiore, potrebbe reggere con maggiore efficacia il gravoso debito statale.

Quali sono le conseguenze di un elevato debito pubblico rispetto al PIL?

Default 

Il fallimento dello Stato implica l’impossibilità sia di pagare i servizi pubblici e i relativi stipendi, sia di rimborsare debiti e interessi. Ecco perché è importantissimo che il debito pubblico sia mantenuto entro certi limiti, o quantomeno bilanciato da politiche di recupero.

Perdita di credibilità

Se il debito è elevato, la fiducia dei creditori nel riacquistare i propri capitali diminuisce a tal punto da scoraggiare ulteriore credito, con l’effetto di mancata copertura del debito statale. Gli investitori, cioè, non comprano più quel debito, poiché risulta pericoloso. Questo produce due conseguenze: crescita degli interessi e il rischio di essere tagliati fuori dagli investimenti internazionali.

Il circolo vizioso della crescita degli interessi

Quanto più uno stato è indebitato, più alti sono gli interessi da pagare, poiché il rischio per l’investitore è maggiore. Se la fiducia dei creditori diminuisce, il finanziamento del debito può avvenire solo corrispondendo interessi più elevati dei titoli statali. Insomma, il creditore si assume un maggior rischio cui far corrispondere un maggior guadagno. Questo, però, genera un circolo vizioso: l’elevato ammontare degli interessi costituisce una delle ragioni per cui si ricorre ad ulteriore debito pubblico. In parole semplici, se l’interesse del debito aumenta, di conseguenza aumenta il deficit, e per finanziarlo, si ricorre ad ulteriore debito (emissione di titoli).

Rischio di essere tagliati fuori dagli investimenti internazionali

Ciò causerebbe l’arresto dell’espansione economica e l’eventuale impossibilità di poter vendere il proprio debito pubblico, con la conseguente assenza di liquidità necessaria a pagare tutti i servizi pubblici, stipendi annessi. Ecco perché il debito pubblico va risanato e controllato. Purtroppo, esistono proposte politiche che pur di ottenere voti, promettono provvedimenti folli che porterebbero il paese al default. Se lo Stato spende in spesa improduttiva (aumento stipendi, aumento pensioni, elargizione di elevati sussidi sociali) senza spendere anche in investimenti che fanno crescere l’economia, il paese rischia il fallimento. 

Effetto spiazzamento

Se invece il finanziamento del debito pubblico avviene tramite imposizione fiscale sui redditi dei cittadini, si sottraggono risorse per i consumi e per gli investimenti privati. Ciò genera sul lungo periodo un freno all'economia nazionale.




  L’UE e i vincoli di bilancio

Il Patto di Stabilità e Crescita ha imposto ai paesi membri delle regole per salvaguardare i conti pubblici nazionali e il sistema finanziario comunitario:

1. il deficit non deve superare il 3% del Pil. In caso di condizioni eccezionali (calamità, epidemie, terremoti) sono previste delle deviazioni dalla norma;
2. il debito pubblico deve essere inferiore al 60% del Pil. E l’Italia allora? Con il suo debito che supera più del doppio il limite imposto, vige l’obbligo di ridurre la differenza che lo separa dall'obiettivo (il 60% del PIL) di un ventesimo l’anno;
3. la spesa pubblica non deve crescere più del PIL.

Il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) ha stabilito che il rapporto debito pubblico/PIL dei paesi membri non possa eccedere il 60%. Nonostante le regole, però, vi è una deroga: per alcuni paesi, tra i quali l’Italia, è consentito scostarsi da tale indicatore con l’impegno di varare politiche economiche atte a raggiungere la soglia stabilita.

 
Breve storia del debito pubblico italiano

Il primo boom del debito si manifesta nel 1897 (117% del Pil), ma la crescita economica dell’epoca giolittiana lo riporta al 70% del PIL. Nel 1920, subito dopo la prima guerra mondiale, il debito si assesta al 160% del PIL. Dopo esser sceso durante l’epoca fascista, risale al 108% nel 1943 (l’Italia affronta la fase più acuta della guerra: sbarco in Sicilia, caduta del fascismo, governo Badoglio dei 45 giorni, armistizio del 3 settembre, occupazione tedesca e nascita della Resistenza). Subito dopo la guerra, il debito si assesta al 20 % del PIL. Nel 1964 il debito si porta al 33% del PIL e il tasso di crescita è di circa il 5% annuo. Questo stato di cose - agevolato anche da una lira abbastanza stabile e da una bassa inflazione - dal punto di vista economico e finanziario è noto con il nome di Boom economico. Tra i fattori che agevolarono lo sviluppo economico, annoveriamo un sistema pensionistico gestibile, poiché la maggior parte della popolazione anziana era morta in guerra e la popolazione relativamente giovane gravava poco sul sistema sanitario nazionale. Ciò ha contribuito a mantenere stabile la spesa pubblica per le pensioni e per il sistema sanitario. Il debito pubblico, di conseguenza, era abbastanza sostenibile.

 Nel 1968 il rapporto arriva al 41%. Da questo momento fino agli Anni ‘80, il debito cresce costantemente (60% nel 1981) e la crescita economica inizia a rallentare, sebbene sia ancora notevole (3% annuo). Già a partire da metà Anni ’70, con la crisi petrolifera e il miglioramento del Welfare State (che produce spesa pubblica), il deficit da finanziare tramite il debito aumenta. Una strategia ha attutito la gravosità del debito: nel 1975 la Banca d’Italia ha stampato moneta per comprare le obbligazioni rimaste invendute, ma questo ha prodotto una forte svalutazione della lira (circa il 40% rispetto al dollaro). Nel 1981 la Federal Reserve, al fine di combattere l’inflazione, raddoppia i tassi d’interesse che produce una piccola recessione economica che produce le sue ripercussioni anche in Italia (che ha una moneta fortemente svalutata). Nel 1981 Ciampi (governatore della Banca d’Italia) e Andreatta (Ministro del Tesoro) decidono di liberare la Banca d’Italia dall'obbligo di acquistare obbligazioni del debito statale, e la lira riesce a rimane all'interno del sistema monetario europeo. Nel 1982 l’inflazione viaggiava a livelli altissimi, circa il 17%. Ciò provocò la diminuzione del potere d’acquisto dei cittadini e tassi d’interesse oltre il 20%. Negli anni successivi il debito cresce ancora, arrivando a circa il 100% del PIL, complice anche l’inflazione che rimase a livelli considerevoli fino al 1985. 

Per evitare i fenomeni inflattivi, negli anni 80 entrò in vigore il regime di cambi semifissi europei (SME: sistema monetario europeo), secondo il quale i cambi tra le valute non dovevano superare la variazione di oltre il 5%. La mossa delle banche che stampano carta moneta per acquistare il debito, produce una spirale inflattiva che ha effetti internazionali, trascinando con sé anche le economie degli altri paesi europei. Non dimentichiamo lo shock inflattivo della Germania nel 1923 e subito dopo il crollo della borsa di New York nel 1929.

La separazione tra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro – che ha visto la banca sciolta dal vincolo di agevolare la vendita dei titoli di debito – ha prodotto una crescita vertiginosa del debito. Piuttosto che diminuire la spesa pubblica improduttiva, i governi l’hanno aumentata per fini elettorali, ricorrendo alla vendita del debito sui mercati finanziari a tassi chiaramente più alti, incuranti che il futuro avrebbe atteso sostanziosi aumenti dell’imposizione fiscale per recuperare quanto speso.

Nel 1992 il debito pubblico diventò insostenibile e il governo Amato decise di uscire dal regime di cambi semifissi dello sme per svalutare la moneta. La lira successivamente perse circa il 50% del suo valore, i risparmi dei cittadini furono erosi. Tutto ciò, però, non bastò a far calare il debito e il governo autorizzò una tassa patrimoniale (prelievo forzoso) sui conto dei cittadini.
Negli anni successivi, privatizzazioni e riforme pensionistiche risolsero in minima parte il problema. All'inizio degli anni Duemila, con l’ingresso dell’euro, il debito è sceso, il PIL leggermente risalito e il potere d’acquisto dei cittadini aumentato. Questo condizione di “sicurezza”, autorizzò vari governi ad aumentare nuovamente la spesa pubblica, facendo così risalire il debito. Questo ci porta alla crisi europea del 2011.

In definitiva, che cosa ha generato un debito pubblico così elevato?

1. Spesa pubblica ai fini elettorali e scarsa crescita economica

Come già visto precedentemente, tra la metà degli Anni ‘70 e la metà degli Anni ’90, i vari governi hanno aumentato la spesa pubblica senza alcun controllo, a causa di politiche che non hanno promosso la crescita economica ma hanno attuato spesa pubblica a favore di determinate categorie ai fini elettorali. Insomma, un politica populista che ha danneggiato le generazioni future. La mancanza di adeguati investimenti verso manovre espansive, ha prodotto una situazione in cui abbiamo un PIL che non riesce ad ammortizzare il debito. Le manovre politiche hanno assunto come obiettivo la popolarità  - populiste ? – piuttosto che pensare alla salute finanziaria, il cui conto lo pagano sempre le generazioni future. 

2. Impegno economico – finanziario in UE

I conti pubblici sono peggiorati anche a causa dall'appoggio che l’Italia ha dato all'Europa, attraverso aiuti diretti (come nel caso della Grecia) e la partecipazione ai fondi europei. Le somme versate dall'Italia sono triplicate: da 13,2 miliardi nel 2011, circa 60 miliardi nel 2014 e 58,2 miliardi a fine 2015.

3. Elevati tassi d’interesse

Sebbene l’Italia abbia spesso chiuso l’anno finanziario in attivo, gli interessi sul debito accumulati negli anni hanno vanificato tutti i sacrifici. Come detto all'inizio, lo Stato deve pagare gli interessi sul debito e questi sono tanto più elevati quanto più un paese perde credibilità nei mercati finanziari. Il debito pubblico italiano, dunque, è aumentato anche a causa della necessità di rifinanziare debiti e interessi degli esercizi precedenti, costringendo l’economia nazionale in una spirale negativa da cui è difficile uscire.



  A quanto ammonta l’attuale debito italiano

Ecco una lista di cifre (il calcolo varia in base al mese di riferimento):

a. 2017: 152,9% 
b. 2018: 132,1%, picco al 148% e chiusura a 134,8% del Pil (fonte Eurostat)
c. 2019: 2.466 miliardi di euro (massimo storico)
d. 2020: 2.447 miliardi di euro (febbraio), 158,9% (maggio)

Chi detiene il debito pubblico italiano?

I possessori di titoli di debito italiano sono vari e la loro distribuzione varia in base agli anni. La stima seguente è orientativa e soggetta a variazioni nel tempo. I privati detengono la maggior parte del debito (tra i quali annoveriamo risparmiatori, banche e altre istituzioni finanziarie). La BCE e Bankitalia detengono assieme circa il 20% del debito italiano. Altre istituzioni europee hanno quote minoritarie. La maggior parte degli investitori, dunque, sono stranieri dell’eurozona (tedeschi, francesi, lussemburghesi, spagnoli, irlandesi) ma non manca la presenza di inglesi, americani e asiatici. I cittadini italiani, invece, hanno man mano diminuito la quota di debito acquistata.

Perché il debito italiano è acquistato all'estero?

A differenza del Giappone, il cui debito è acquistato dai cittadini stessi, l’Italia si trova inserita in un contesto di libera circolazione dei capitali. Sottrarre la finanza italiana a questo sistema, causerebbe gravi ripercussioni sul piano economico e finanziario.

Conclusioni 

Purtroppo, esistono proposte politiche che pur di ottenere voti, promettono provvedimenti folli che porterebbero il paese al default. Se lo Stato spende in spesa improduttiva (aumento stipendi, aumento pensioni, elargizione di elevati sussidi sociali) senza spendere anche in investimenti che fanno crescere l’economia, il paese rischia il fallimento.

Il nostro sistema politico, perennemente in campagna elettorale, mente sfacciatamente sulla situazione dei conti pubblici, promettendo aumento di stipendi, pensioni e sistemi di welfare insostenibili. L’interesse principale è strumentalizzare le informazioni, deformando la realtà delle cose.Sostanzialmente, siamo di fronte a proposte populiste e per nulla lungimiranti, che hanno il fine di corteggiare il popolo per consenso elettorale.

La lezioni degli anni 70 – 80 - 90 non ha insegnato nulla alla classe dirigente. Non è tanto il debito in sé a preoccupare, ma l’incapacità di creare opportunità di crescita economica che porti il PIL a livelli sostenibile, in grado di sostenere una spesa pubblica elevata.

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