Nel 688 Pipino di Herstal fonda una dinastia che prenderà il nome di "carolingia" in onore del suo esponente più importante, Carlo Magno, discndente di Pipino. La nuova dinastia ha sempre avuto ottimi rapporti con la Chiesa romana, motivo per cui i sovrani franchi sono sempre stati considerati i difensori della cristianità. Un esempio fu Carlo Martello, che inflisse la prima battuta d'arresto all'avanzata araba nella battaglia di Poitiers (732). Il rapporto privilegiato dei Franchi con il mondo cristiano non si risolve soltanto nella difesa militare che questi hanno offerto, ma trova le sue origini nella storica conversione del re merovingio Clodoveo al cattolicesimo nel 493.
Il disegno politico di Carlo Martello era di estendere l'influenza franca verso il sud dell'Europa, agevolato non solo dal privilegiato rapporto con il papato, ma anche dal bisogno di quest'ultimo di difendersi dalla pressione longobarda in Italia. Detti presupposti spiegano le tre discese in italia dei Franchi, quella del 754, quella del 756 e quella del 774, che vide protagonista già Carlo Magno, il quale porrà fine al regno longobardo, inglobandolo nel Regno dei Franchi. Carlo Magno completò il disegno politico dei suoi avi, promuovendo l'estensione dell'influenza franca in Europa, non solo in Italia ma anche nei territori posti a sud est e sud ovest dell'attuale Francia (Pirenei). Il Regno Franco si estendeva su un territorio vastissimo. Possiamo anzi affermare che questo fu il più esteso regno cattolico dalla fine dell'impero romano.
La posizione di preminenza e potere di Carlo non era solo un vantaggio per il monarca franco, ma rappresentava anche una garanzia anche per il papa, che si ritrovava ada avefre un alleato militarmente forte, cattolico e sempre dalla sua parte - chiaramente per convenienza politica. Fu allora che il papa pensò di utilizzare il potere di Carlo per contro bilanciare il potere dell'imperatore bizantino, il quale era schierato con chiesa di Costantinopoli nella disputa contro il papa sulla questione iconoclasta. Dunque Carlo doveva diventare al pari dell'imperatore bizantino, cioè imperatore. In questo contesto politico-religioso, la notte di narale dell'800 il Papa in coronò imperatore Carlo Magno.
Tale gesto significò non solo la sottomissione del potere temporale al potere spirituale (ogni monarca è vassallo del papa) ma anche la legittimazione su base cristiana: obiettivo principale del potere monarchico era la difesa del cristianesimo. Con questo gesto, dunque, il papa rafforzò il suo potere come mai avvenne prima nella storia.
In realtà la questione dell'incoronazione ha anche altre probabili motivazioni. Un anno prima dell’incoronazione, Papa Leone III, dopo esser scampato ad un attentato voluto dai nobili romani, riuscì a fuggire e a raggiungere a Paderborn il Re Carlo a cui chiese protezione. Con una scorta reale Leone III fu ricondotto a Roma, e l'incoronazione dell'anno dopo fu il ringraziamento al sovrano franco per la protezione ricevuta.
La politica di Carlo, dunque, non poteva eludere l'impegno preso, ovvero la difesa del cristianesimo. Pertanto, prese avvio una politica di conversioni forzate di massa, principalmente a danno dei Frìsoni, nell'area dell'attuale Olanda, dei Sassoni e degli Àvari, che gli consentì di controllare le sponde occidentali del Danubio e di fare penetrare per la prima volta il Cattolicesimo nel mondo slavo. Le conquiste di Carlo Magno furono completate dall'annessione incruenta della Baviera.
Per poter amministrare e controllare il territorio statale, Carlo suddivise amministrativamente il regno in contee, affidate ai conti e marche, affidate a ufficiali detti marchesi. Conti e marchesi provenivano dall'aristocrazia franca, legati al monarca da vincoli di fedeltà personale e remunerati secondo il sistema feudale (beneficio, cioè la terra). Le funzioni amministrative, dunque, facevano sì che essi diventassero grandi proprietari terrieri. In seno al sistemava feudale si dislocava l'esercito, struttura militare fornita dall'aristocrazia feudale al monarca in caso di guerra.
Il sovrano sorvegliava i comportamenti di conti e marchesi attraverso ispettori fedeli al monarca chiamati
missi dominici.
Periodicamente venivano convocate importanti riunioni dette «placiti», i cui provvedimenti erano raccolti in testi chiamati «capitolari», che avevano valore di legge in tutto il regno.
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