Revisionismo Unità d’Italia – Genesi della “Questione meridionale”.

Revisionismo Unità d’Italia – Genesi della  “Questione meridionale”. 

Il Problema
“Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei Consigli dell'Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi”. (Vittorio Emanuele II, Discorso della Corona al Parlamento, 10 gennaio 1859).
Secondo le tesi revisioniste, le popolazioni meridionali non furono propriamente liberate, ma bensì conquistate e colonizzate. In effetti, molti segnali fanno pensare più ad un ingrandimento coloniale del Piemonte piuttosto che alla realizzazione effettiva di un' unità nazionale. Due fatti ci fanno riflettere: il Re continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II, e non “I“ in quanto Re d’Italia; stessa cosa per la prima legislatura italiana, la cui numerazione proseguiva da quella piemontese, cioè l’VIII. 
Tra le tesi revisioniste, possiamo far riferimento alla lettura di Antonio Gramsci che, a proposito del brigantaggio, diceva: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”. E ancora più avanti, ancora a proposito del brigantaggio post-unitario, Carlo Levi, nel suo libro ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ così scriveva: “Il brigantaggio non fu altro che un eccesso di eroica follia, un desiderio di morte e di distruzione, senza speranza di vittoria in cui la civiltà contadina meridionale difese la propria natura e la propria identità contro quell'altra civiltà che le stava contro e che, senza comprenderla, eternamente l’assoggettava”. Vittorio Emanuele, non doveva liberare dal grido di dolore dell’oppressione ?
I nuovi oppressori, i “piemuntisi”, giocarono un ruolo fondamentale nella nascita della cosiddetta “Questione meridionale”. 

Interventi 
Edmondo Capocelatro e Antonio Carlo, due insigni scrittori d’economia, nel loro libro “La questione meridionale – Studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia”, edizioni la Nuova Sinistra del 1972 - sostengono che “l’arretratezza e l’ottusità della borghesia meridionale è una colossale invenzione e mistificazione storica. Resta perciò da chiarire perché pur non essendo questa borghesia inferiore a quella del Nord per forza economica e lungimiranza politica, essa venisse praticamente distrutta o quanto meno soggiogata”. Le cause del sottosviluppo del Sud e della Sicilia sono da individuare nell'azione dello Stato unitario dominato dalla borghesia settentrionale, che aveva interesse a favorire lo sviluppo capitalistico del triangolo industriale attraverso la distruzione della nascente industria meridionale.
Dobbiamo ricordare quello che scrisse l’illustre economista e politico meridionale (contemporaneo ai fatti dell’Unità) Giustino Fortunato: “L’unità d’Italia è stata la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’Unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente alla opinione di tutti, che lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali”.

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