“Il carattere eminentemente conservativo e difensivo
della Triplice Alleanza risulta evidente dalla lettera e dallo spirito del
Trattato e dalle intenzioni chiaramente manifestate e consacrate in atti
ufficiali dei ministri che fondarono l’Alleanza e ne curarono i miglioramenti.
Agli intenti di pace si è costantemente ispirata la politica italiana.
Provocando la guerra europea, respingendo la risposta remissiva della Serbia
che dava all’Austria tutte le soddisfazioni che essa poteva legittimamente
chiedere, rifiutando di dare ascolto alle proposte conciliative che l′Italia
aveva presentato insieme con altre potenze, nell’intento di preservare l′
Europa da un immane conflitto che avrebbe sparso sangue ed accumulate rovine in
proporzioni mai viste e neppure immaginate, l’Austria - Ungheria lacerò con le
sue stesse mani il patto d’alleanza con l′ Italia, il quale, fino a che era
stato lealmente interpretato non come strumento d’aggressione, ma solo come
difesa contro possibili aggressioni altrui, aveva validamente contribuito ad
eliminare le occasioni o a comporre le ragioni di conflitto, e ad assicurare ai
popoli per molti anni i benefici inestimabili della pace.
L’art. 1° del Trattato consacrava una norma logica e
generale di qualsiasi patto d’alleanza: cioè l′impegno di procedere ad uno
scambio d’idee sulle questioni politiche ed economiche di natura generale che
potessero presentarsi. Ne derivava che nessuno dei contraenti era libero
d’intraprendere, senza previo comune concerto, un’azione le cui conseguenze potessero
produrre agli altri alcun obbligo contemplato dall’alleanza o comunque toccare
i loro più importanti interessi. A questo dovere contravvenne l’Austria - Ungheria
con l′invio alla Serbia dello sua nota in data 23 luglio 1914, senza previo
concerto con l′Italia. L’Austria - Ungheria violò così indiscutibilmente in una
delle sua clausole fondamentali il Trattato. Tanto maggiore era l’obbligo
dell’Austria - Ungheria di preventivamente concertarsi con l′ Italia, in quanto
dalla sua azione intransigente contro la Serbia derivava una situazione
direttamente tendente a provocare una guerra europea; e sino dal principio del
luglio 1914 il R. Governo, preoccupato dalle tendenze prevalenti a Vienna,
aveva fatto giungere al Governo imperiale e reale ripetuti consigli di
moderazione ed avvertimenti sugli incombenti pericoli di carattere europeo.
L’azione intrapresa dall’Austria - Ungheria contro la Serbia era inoltre
direttamente lesiva degli interessi generali italiani, politici ed economici,
nella Penisola Balcanica.
Non era lecito all’Austria pensare che l’Italia
potesse restare indifferente alla menomazione dell’indipendenza della Serbia.
Non erano mancati a questo proposito i nostri moniti. Da molto tempo l′Italia
aveva più volte, in termini amichevoli, ma chiari, avvertito l’Austria - Ungheria
che l′ indipendenza della Serbia era
considerata dall’Italia com’elemento essenziale dell’equilibrio balcanico, che l′
Italia stessa non avrebbe mai potuto ammettere fosse turbato a suo danno. Né
questo l’avevano detto soltanto nei privati colloqui i suoi diplomatici, ma
dalla tribuna parlamentare lo avevano proclamato i suoi uomini di Stato.
L’Austria dunque, aggredendo la Serbia con un
“ultimatum” non proceduto, con disdegno d’ogni consuetudine, da qualsiasi mossa
diplomatica verso di noi, e preparato nell’ombra con sì gelosa cura da tenerlo
celato all’Italia, che ne ebbe notizia insieme al pubblico dalle Agenzie
telegrafiche prima che per via diplomatica, si pose non solo fuor dell’Alleanza
con l′ Italia, ma si eresse a nemica degli interessi italiani. Risultava,
infatti, al Regio Governo, per sicure notizie che tutto il complesso programma
d’azione dell’Austria Ungheria nei Balcani portava ad una gravissima
diminuzione politica ed Economica dell’Italia perché a ciò conducevano,
direttamente od indirettamente, l’asservimento della Serbia, 1′isolamento
politico e territoriale del Montenegro, 1′ isolamento e la decadenza politica
della Romania.
Questa diminuzione dell’Italia nei Balcani si
sarebbe verificata anche ammettendo che l’Austria - Ungheria non avessero avuti
passi di compiere nuovi acquisti territoriali.
“Giova osservare che il Governo austro-ungarico
aveva esplicito obbligo di previamente concertarsi con l′ Italia, in forza,
d’Uno speciale art.7 del trattato della Triplice Alleanza, che stabiliva il
vincolo dell’accordo preventivo ed il diritto a compensi fra gli alleati in
caso d’occupazioni temporanee o permanenti nella regione dei Balcani. In
proposito il P. Governo iniziò conversazioni col Governo Imperiale e Reale fino
dalla apertura delle ostilità austro-ungariche contro la Serbia, ritraendo dopo
qualche riluttanza un’adesione di massima. Queste conversazioni erano state
iniziate subito dopo il 23 luglio allo scopo di rendere al Trattato violato, e
quindi annullato per opera dell’Austria - Ungheria, un nuovo elemento di vita
quale poteva derivargli soltanto da nuovi accordi.
Le conversazioni furono riprese con più precisi
intenti nel mese di dicembre 1914. Il R. Ambasciatore a Vienna ebbe allora
istruzione di far conoscere al conte BERCHTOLD che il Governo credeva
necessario procedere, senza alcun ritardo, ad uno scambio d’idee, quindi ad un
concreto negoziato col Governo Imperiale e Reale circa la situazione complessa
derivante dal conflitto provocato dall’Austria - Ungheria. Il conte Berchtold
rispose prima con ripulse, concludendo che non riteneva fosse il caso di venire
per questo ad alcun negoziato. Ma in seguito alle nostre repliche, alle quali
si associò il Governo germanico, il conte Berchtold fece poi conoscere di
essere disposto ad entrare nello scambio d’idee da noi proposto.
Esprimemmo allora subito un dato fondamentale del
nostro punto di vista: e dichiarammo che i compensi contemplati, sui quali
doveva intervenire l’accordo, dovevano riflettere territori che si trovano
sotto il dominio attuale dell’Austria - Ungheria. Le discussioni proseguirono
per mesi, dai primi di dicembre 1914 al marzo 1915. E solamente alla fine di
marzo, dal barone BURIAN, ci fu offerta una zona di territorio compresa in
limiti lievemente a nord della città di Trento. Per questa cessione il Governo
austroungarico ci richiedeva a sua volta numerosi impegni a suo favore, fra cui
piena ed intera libertà d’azione nei Balcani. È da notarsi che la cessione del
territorio nel Trentino non doveva, nel pensiero del Governo austro-ungarico,
effettuarsi immediatamente come noi chiedevamo, ma solamente alla fine
dell’attuale conflitto. Rispondemmo che l’offerta non poteva soddisfarci; e
formulammo il minimo delle cessioni che potevano corrispondere in parte alle
nostre aspirazioni nazionali, migliorando ugualmente la nostra situazione
strategica nell’Adriatico. Tali richieste comprendevano: un confine più ampio
nel Trentino; un nuovo confine sull’Isonzo; una situazione speciale per Trieste;
la cessione di talune isole dell’Arcipelago Curzolare; il disinteresse
dell’Austria nell’Albania; ed il riconoscimento dei nostri possessi di Valona e
del Dodecaneso.
Alle nostre richieste furono opposti da prima
dinieghi categorici. Solo dopo un altro mese di conversazioni, l’Austria - Ungheria
s’indusse ad aumentare la zona di territorio da cedere nel Trentino,
limitandola a Mezzolombardo, ma escludendone territori italiani, come un lato
incero della vallata del Noce, la Val di Fassa e la Val d’Ampezzo; o
lasciandoci una linea non rispondente nemmeno a scopi strategici. Restava poi
sempre fermo il Governo austro-ungarico nel negare qualsiasi effettuazione di
cessione prima del termine della guerra. I ripetuti dinieghi dell’Austria - Ungheria
risultarono esplicitamente confermati in un colloquio che il barone Burian
tenne col R. Ambasciatore il 29 aprile u. s., nel quale risultò che il Governo
austro-ungarico, pur ammettendo la possibilità di riconoscimento di qualche
nostro prevalente interesse a Valona e l’anzidetta cessione territoriale nel
Trentino, persisteva a pronunziarsi in modo negativo circa tutte le altre
nostre richieste e precisamente circa quelle che riguardavano la linea
dell’Isonzo, Trieste e le isole.
Dall’atteggiamento seguito dall’Austria - Ungheria
dai primi di dicembre alla fine d’aprile risultava chiaro il suo sforzo di
temporeggiare. In queste condizioni l’Italia si trovava di fronte al pericolo
che ogni sua aspirazione avente base nella tradizione e nella nazionalità e nel
suo desiderio di sicurezza nell’Adriatico, si perdesse per sempre; mentre altre
contingenze del conflitto europeo minacciavano i suoi maggiori interessi in
altri avari. Da ciò derivavano all’Italia la necessità e il dovere di
riprendere la sua libertà d’azione, cui aveva diritto, e di ricercare la tutela
dei suoi interessi all’infuori dei negoziati condotti inutilmente per cinque
mesi, ed all’infuori di quel patto d’alleanza che per opera dell’Austria - Ungheria
era virtualmente cessato sino dal luglio 1914.
Non sarà fuori di luogo osservare che, cessata
l’alleanza, è cessata la ragione dell’acquiescenza, determinata per tanti anni
nel popolo italiano del desiderio sincero della pace, mentre rivivono le
ragioni della doglianza per tanto tempo volontariamente repressa per il
trattamento al quale le popolazioni italiane in Austria furono assoggettate.
Patti formali a tutela della nostra lingua, della
tradizione e della civiltà italiana nelle regioni abitate dai nostri
connazionali, sudditi della Monarchia, non esistevano nel Trattato. Ma quando
all’Alleanza si volesse dare un contenuto di pace e d’armonia sincera, appariva
incontestabile l’obbligo morale dell’alleato di tener in debito conto anzi di
rispettare con ogni scrupolo, il nostro interesse costituito dall’equilibrio
etnico nell’Adriatico. Invece la costante politica del Governo austro-ungarico
mirò per lunghi anni alla distruzione della nazionalità e della civiltà
italiana lungo le coste dell’Adriatico. Basterà qualche sommaria citazione di
fatti e di tendenze, ad ognuno già troppo noti sostituzione progressiva dei
funzionari di razza italiana con funzionari d’altra nazionalità; immigrazione
di centinaia di famiglie di nazionalità diverse; assunzione a Trieste di
Cooperative di braccianti estranei; decreti Hohenlohe diretti ad escludere dal
Comune di Trieste e dalle industrie del Comune, impiegati regnicoli;
snazionalizzazione dei principali servizi del Comune di Trieste e diminuzione
delle attribuzioni municipali; ostacoli d’ogni sorta all’istituzione di nuove
scuole italiane; regolamento elettorale con tendenza antitaliana;
snazionalizzazione dell’amministrazione giudiziaria; la questione della
Università, che formò pure oggetto di trattative diplomatiche;
snazionalizzazione delle compagnie di navigazione; azione di Polizia o processi
politici tendenti a favorire le altre nazionalità a danno di quella italiana;
espulsioni metodiche ingiustificate e sempre più numerose di regnicoli.
La costante politica del Governo Imperiale e Reale
riguardo alle popolazioni italiane soggette, non fu unicamente dovuta a ragioni
interne o attinenti al gioco delle varie nazionalità contrastanti nella
Monarchia; essa invece apparve inspirata in gran parte da un intimo sentimento
d’ostilità e d’avversione riguardo all’Italia, dominante in alcuni circoli più
vicini al Governo austro-ungarico ed avente una determinante influenza sulle
decisioni di questo. Fra i tanti indizi che si possono citare, basterà
ricordare che nel 1911, mentre l’Italia era impegnata nella guerra contro la
Turchia, lo Stato Maggiore a Vienna si preparava intensivamente ad
un’aggressione contro di noi; ed il partito militare proseguiva attivissimo il
lavoro politico inteso a trascinare gli altri fattori responsabili della
Monarchia. Contemporaneamente gli armamenti alla nostra frontiera assumevano
carattere prettamente offensivo. La crisi fu allora risolta in senso pacifico
per l’influenza, a quanto si può supporre di fattori estranei; ma da quel tempo
siamo rimasti sotto 1′ impressione di una possibile inattesa minaccia armata,
quando, per cause accidentali, prendesse sopravvento a Vienna il partito a noi
ostile. Tutto questo era noto all’Italia; ma, come si disse più sopra, il
sincero desiderio della pace prevalse, nel popolo italiano.
Nelle nuove circostanze l’Italia cercò di vedere se
e quanto, anche per tale riguardo, fosse possibile dare al suo patto con
l’Austria - Ungheria una base più solida ed una garanzia più duratura. Ma i
suoi sforzi, condotti per tanti mesi in costante accordo con la Germania, che
venne con ciò a riconoscere la legittimità dei negoziati, riuscirono vani. Onde
l′ Italia si è trovata costretta dal corso degli eventi a cercare altre
soluzioni. E poiché il patto dell’Alleanza con l’Austria - Ungheria aveva già
cessato virtualmente di esistere e non serviva ormai più che a dissimulare la
realtà dei sospetti continui e di quotidiani contrasti, il R. Ambasciatore a
Vienna fu incaricato di dichiarare al Governo austro-ungarico che il Governo
italiano era sciolto da ogni suo vincolo decorrente dal Trattato della Triplice
Alleanza nei riguardi dell’Austria - Ungheria. Tale comunicazione fu fatta a
Vienna il 4 maggio.
Successivamente a tale nostra dichiarazione, e dopo
che noi avevamo già dovuto provvedere alla legittima tutela dei nostri
interessi, il Governo Imperiale e Reale presentò nuove offerte di concessioni,
insufficienti in sé, e nemmeno corrispondenti al minimo delle nostre antiche
proposte; offerte che ad ogni modo non potevano più essere da noi accolte. Il
R. Governo, tenuto conto di quanto è sopra esposto, confortate da voti del
Parlamento e dalle solenni manifestazioni del Paese, ha deliberato di rompere
gli indugi; ed ha dichiarato oggi stesso in nome del Re all’ambasciatore
austro-ungarico a Roma di considerarsi, da domani, 24 maggio, in stato di
guerra con l’Austria - Ungheria.
Ordini analoghi sono stati telegrafati ieri al R.
Ambasciatore a Vienna. Prego V. S. di render noto quanto precede a codesto
Governo “
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