ILLUMINISMO


 
 
Definizione


Con Illuminismo (o Età dei lumi) s’intende un movimento culturale lungo il periodo storico che va dal 1688 al 1789.

La definizione più eloquente dell'Illuminismo è riposta in un’opera di Immanuel Kant dal titolo "Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?", eccone il passo in questione:

L'illuminismo è l'uscita dell'essere umano dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell'illuminismo.

Il precursore dell’Illuminismo fu il filosofo inglese John Locke, il quale sosteneva che la Ragione guida l’uomo come un fosse un lume. Nelle sue opere grande attenzione viene riposta sia alle potenzialità della Ragione sia ai suoi limiti. Sebbene ciò precludeva all’uomo di oltrepassare l’esperienza (filosofia antimetafisica), è pur vero che ha tracciato per il sapere umano un territorio circoscritto entro il quale cercare la verità.


Caratteristiche 

Costruzione di un sapere e di un agire basati sulla Ragione:

a. ottimismo antropologico: fiducia nel progresso grazie al potere della ragione, in base alla quale migliorerà le sue condizioni di vita sociale, politica ed economica,

b. autonomia dell’uomo: la conoscenza, l’agire morale e politico si fondano sulla Ragione;

c. funzione pedagogica della cultura: divulgazione, Enciclopedia, centri di aggregazione;

d. legittimazione del potere politico sulla base della ragione (monarchia parlamentare e dispotismo illuminato);

e. cosmopolitismo: gli uomini, uniti dalla Ragione, sono cittadini del mondo;

f. centralità della Borghesia, classe sociale in ascesa che costituiva non solo il centro propulsore delle nuove idee, ma anche il pubblico colto che di queste ne fruiva. 

La cultura tradizionale è sottoposta a critica:

1. Rifiuto del dogmatismo

2. Critica all’oscurantismo e all’oppressione religiosa

3. Critica alla superstizione 

4. Cade il principio di autorità

5. Concezione della Storia: le epoche passate sono sottoposte a radicale critica, specie il medioevo, considerato focolaio di ignoranza, superstizione, oscurantismo religioso e culturale. Gli anni del Medioevo sono caratterizzati come “secoli bui”.

Rapporto con la religione

Critica alla Chiesa (anticlericalismo) poiché questa rappresentava:

A. un corrotto potere politico ed economico;

B. la fonte dell’oscurantismo e dell’ignoranza: i popoli venivano addomesticati e sottomessi politicamente tramite la superstizione e l’imposizione dei dogmi, cosa impediva lo sviluppo del pensiero critico razionale

Le dottrine più diffuse erano il deismo, l'ateismo e l'agnosticismo:

A. Gli Atei sostenevano che era possibile compiere il bene morale a partire dalla negazione di ogni religione. I veri onesti, diceva, sono gli atei, poiché sono scevri dai vizi e dalle corruzione fomentati dalle religioni. Inoltre, La natura ha dentro di sé le leggi di funzionamento che rendono superfluo il ricorso ad un Dio.

B. L’agnostico David Hume sosteneva che il concetto di Dio non ha riferimenti empirici. Inoltre, la religione nasce dal bisogno psicologico di sicurezza e, in seguito, dalla necessità di garantire un fondamento trascendente all’ordine sociale.

C. I Deisti sostenevano l’esistenza di un Dio causa dell’universo e delle sue leggi naturali, conoscibile tramite la ragione, senza il ricorso alla fede e alla Bibbia.  E’ un Dio non confessionale a cui non si rivolgono preghiere né caratteri morali e antropomorfici. Tra i Deisti annoveriamo John Locke  e  Voltaire, sostenitore della tesi che Dio ha natura indeterminabile e non interviene nella storia umana. Scrisse il “Trattato sulla tolleranza”, in cui criticava il fanatismo religioso: le differenze tra gli uomini, rispetto all’incommensurabilità del cosmo, appaiono piccole.


                                    
L’Enciclopedia e l'intento educativo

Coerentemente con l'intento pedagogico del sapere e dell'uso della ragione, durante l'Illuminismo nacque l'Enciclopedia, che proponeva un sistema unitario delle scienze, suddivise in base alle tre funzioni dell’intelletto (Ragione: scienze tecniche; Memoria: Storia; Immaginazione: Arti).

L’obiettivo era di rigenerare il sapere umano in senso antidogmatico e razionale, dare spazio alla tecnica, con la descrizione di macchine. Ma il significato più importante è l’opera di divulgare la conoscenza: il sapere deve essere accessibile a tutti, poiché la diffusione della conoscenza è la base del progresso dell’umanità.
Parteciparono alla stesura Diderot,  d’Alambert, Voltaire, Rousseau, d’Holbach, Quesnay e Turgot.
Storia editoriale.

Il primo volume uscì nel 1751 a Parigi: conservatori e gesuiti si opposero. Nel 1752 uscì il secondo volume: il re Luigi XVdi Borbone, dietro pressione dei Gesuiti, sospese la pubblicazione dell’opera. Il decreto reale faceva riferimento al tentativo di “distruggere l’autorità regia”, all’incitamento allo “spirito d’indipendenza e rivolta” e alla creazione dell’”irreligiosità” e “incredulità”. Nel 1757, grazie ad alcuni elementi liberali del governo, l’opera fu ripubblicata in altri 5 volumi. Nel 1759 uscì un altro volume: il consiglio reale sospese la pubblicazione e il papa condannò l’opera. Grazie alla soppressione della Compagnia di Gesù avvenuta nel 1762, nel 1772 l’opera fu completata in 28 volumi.


TEORIE POLITICHE

Liberalismo e lo Stato liberale

Teoria che prevede una forma di Stato basato sul modello inglese della Gloriosa rivoluzione:

1. Sovranità: non risiede in un monarca per diritto divino, ma nel Parlamento che espleta la funzione legislativa. Esso è anche detto Stato Parlamentare.

2. Diritti individuali: essi sono libertà, proprietà e sicurezza; sono inalienabili

3. Governo: il governo è vincolato al rispetto dei diritti individuali e deve rispondere al Parlamento.

4. Stato garantista: esso ha il principale obiettivo di garantire la libertà del singolo tramite le leggi. Non deve intervenire nelle questioni economiche e sociali; ha diritto d’intervento solo per ristabilire l’ordine laddove i diritti individuali siano minacciati.

4. Costituzionalismo: il potere delle istituzioni deve essere sottoposto ad una legge fondamentale che contiene le garanzie per i cittadini

5. Separazione dei poteri: esso ha l’obiettivo di eliminare il dispotismo. I poteri sono esercitati distintamente da organi diversi che si controllano a vicenda (Montesquieu: Spirito delle leggi):
Esecutivo: Re e i suoi ministri
Legislativo: Parlamento
Giudiziario: Magistratura (potere dei tribunali)

6. Camera elettiva: rappresentava, all’interno del parlamento bicamerale, la borghesia.

7. Suffragio basato sul censo: votava solo chi aveva un certo reddito. Non tutti i cittadini godevano di uguaglianza politica. Voltaire diceva “Tutto per il popolo ma niente al popolo”: i governi dovevano promuovere un riformismo dall’altro secondo i dettami dell’illuminismo, senza che ciò comportasse un coinvolgimento diretto del popolo, il quale era troppo ignorante per poter autodeterminarsi politicamente. 

8. Libertà: la libertà del singolo è libertà dallo Stato, poiché le istituzioni non devono impedire il libero sviluppo del singolo e dei suoi progetti, a patto che la libertà di ognuno non minacci la libertà degli altri.


Democrazia e lo Stato democratico

Forma di Stato teorizzato da J. J. Rousseau:

1. Sovranità: essa spetta al popolo che la esercitata con la democrazia diretta (No rappresentanza)
2. No alla separazione dei poteri: i poteri, espressione della Volontà generale, cioè del popolo, devono essere concentrati in un unico organismo.
3. Libertà: la libertà del singolo coincide con la libertà della collettività: gli interessi individuali sono subordinati all’interesse generale. Così si eliminava la diseguaglianza sociale. La libertà del singolo, dunque, è libertà nello Stato.
4. Proprietà privata: Rousseau non contesta la proprietà privata, ma solo la sua iniqua distribuzione, sottoposta al controllo di poche persone.

L’opera in cui il filosofo teorizza lo Stato democratico è il “Contratto sociale”, del 1762, in cui lo stato è legittimato sulla base del contratto sociale: gli uomini, che nello Stato di natura sono liberi, si uniscono tramite un Patto, in cui cedono tutti i loro diritti per ritrovarli sotto un organismo comune, lo Stato.

TEORIE ECONOMICHE

Fisiocrazia (“potere della natura”: la terra)

Esponente principale fu Quesnay, che scrisse “Tableau économique” nel 1758, primo esemplare di studio dell’economia capitalistica: i salariati costituiscono una classe sociale subordinata ai capitalisti; il livello del salario deve attenersi solo a quanto basta per risanare la sua forza produttiva. 
Nel corso del Settecento il libero commercio del grano era fortemente ostacolato dai governi tramite dazi e divieti per evitare le carestie, il rincaro del pane e le conseguenti sollevazioni popolari. Inoltre, i governi imponevano ai produttori prezzi di vendita molto bassi.

Ciò, però, genera cause negative:

1. danneggia la produzione: l’economia non cresce e la produzione non migliora 
2. i produttori sono portati a vendere al mercato nero, che garantisce prezzi e guadagni più alti. 

La soluzione è quella di liberalizzare il commercio del grano, cioè eliminare le tariffe doganali. Ciò avrebbe comportato l’incremento della produzione agricola: i prezzi si sarebbero livellati da sé, poiché la scarsità di grano in una zona e i suoi prezzi alti sarebbero stati equilibrati dall’importazione di grano da una zona più ricca in cui vi erano prezzi più bassi. In tutta Europa il grano si sarebbe redistribuito in maniera razionale. Ma solo la liberalizzazione del commercio avrebbe permesso questo. Così, chi aveva terre fertili, era portato a sfruttare le potenzialità della propria terra cercando di aumentarne la produttività in vista delle esportazioni. Nelle zone a rischio carestia, l’importazione avrebbe permesso l’ingresso di grano a prezzi ragionevoli dalle zone a maggior produttività. Insomma, il libero commercio del grano avrebbe risolto due importanti problemi: arricchimento e carestia.

Per ottenere questi risultati era necessario aumentare la produttività agricola. A tal scopo Quesnay propose:

1. privatizzazione delle terre comuni: i privati potevano, così, investire e aumentare la produzione globale.
2. abolizione dei privilegi feudali che ostacolavano l’eredità delle terre: (maggiorasco, cioè “del figlio maggiore”, e fidecommesso, che ostacolava la divisione del patrimonio ereditato dal primogenito, la manomorta, cioè l’indivisibilità e l’inalienabilità dei possedimenti ecclesiastici).
3. aumento degli investimenti capitalistici sulle terre
4. bonificare e dissodare un maggior numero di terreni.
5. migliorare le vie di comunicazione commerciali.

Per ottenere questi risultati ci voleva una politica che ne garantisse la riuscita:

A. Una forma di governo assoluto che avesse tenuto a bada l’opposizione clericale o nobiliare.
B. Uno Stato che non interviene in economia per non intralciare la libera iniziativa dei privati: “laissez faire, laissez passer”.

Liberismo

Adam Smith (1723-1790) pubblicò nel 1776 le “Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni”.
Smith sosteneva che il lavoro crea ricchezza, grazie alla sua divisione in operazione elementari e alla specializzazione del singolo operaio. 

Smith poneva un presupposto filosofico alla base della sua teoria: se si lasciano agire gli interessi egoistici in libertà, essi si equilibrano reciprocamente a tal punto da armonizzarsi e creare ricchezza per tutta la società. Il libero mercato guida gli interessi di tutti, attraverso una “mano invisibile”, verso l’armonia e il benessere collettivo.

Smith, come Quesnay, sosteneva l’eliminazione dell’intervento dello Stato in economia: esso doveva limitare le sue funzioni all’ amministrazione della giustizia e alla gestione della sicurezza pubblica.
Ai fini di una maggior produttività, Smith proponeva la completa privatizzazione delle terre e l’abolizione dei diritti di pascolo dei contadini sulla terre.

Il liberismo e la fisiocrazia si posero come alternativa al mercantilismo, teoria che limitava lo spazio del privato e sosteneva l’ingerenza dello Stato nelle decisioni sui dazi e sui monopoli. Inoltre, mentre il mercantilismo con la sua politica estera aggressiva conduceva verso la guerra, liberismo e fisiocrazia, grazie al libero gioco degli interessi privati, avrebbero condotto gli uomini all’armonia naturale.


Il pensiero giuridico

Gli illuministi proposero riforme anche in ambito giudiziario. Tra queste ricordiamo Cesare Beccaria, autore dell’opera Dei delitti e delle pene (1764), in cui teorizzò l’eliminazione della tortura e della pena di morte. La pena, piuttosto che vendicativa, doveva assumere al  duplice compito sia di rieducare il detenuto sia fungere da deterrente, in maniera tale da scoraggiare ulteriori reati. Le pene, inoltre, dovevano essere proporzionate al delitto.

Rifiuto della tortura

Beccaria rifiuta la tortura: questa pratica, usata sempre in via preventiva, conduce ad un duplice errore:

1. dare per scontato la colpevolezza di un sospettato

2. estorcere una confessione tramite il dolore fisico avrebbe agevolato i «robusti scellerati» e «penalizzato i deboli innocenti». 

Insomma, pur di evitare il dolore chiunque avrebbe confessato ciò che non ha mai commesso; e un fisico forte, invece, avrebbe resistito fino a dar credito della propria fasulla innocenza.

Rifiuto della pena di morte

Beccaria sosteneva che la società e lo Stato si formino attraverso la stipula del «contratto sociale», attraverso il quale gli uomini, per evitare i pericoli dello stato di natura, preferiscono unirsi sotto un potere e delle leggi. Nel sottoscrivere questo contratto, ogni uomo chiede allo stato di preservare la propria vita. Da ciò se ne deduce il divieto della pena di morte., poiché nessun cittadino concede nel contratto il diritto a farsi uccidere. Inoltre, la pena di morte rappresenta un delitto di cui si macchia lo Stato: « Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio » ("Dei delitti e delle pene", cap. XXVIII). La pena di morte, insomma, è una guerra della nazione contro un cittadino e non è un vero deterrente, poiché  il reo teme meno la morte di un ergastolo perpetuo.

Beccaria propose inoltre:

1. laicizzazione del diritto penale: il delitto non è un peccato (religione), ma un danno contro la società; di conseguenza, la pena non è una forma di espiazione (religione), ma un risarcimento verso la società, che risulta parte lesa;

2. la legge deve essere uguale per tutti: egli auspica che finisca la divisione feudale dei privilegi, secondo cui ad ogni ceto corrispondono leggi e tribunali diversi.

Le sue idee sono state prese a modello di alcune parti della Costituzione americana e adottate da Pietro Leopoldo di Toscana, che eliminò, per la prima volta in Europa, sia pena di morte che tortura.


RIFORME POLITICHE

Gli storici parlano di “Dispotismo illuminato”, atteggiamento in un forte accentramento del potere monarchico che governa, però, secondo "ragione" (Illuminismo). Se in Francia resistono con forza i privilegi nobiliari feudali, in Austria, Prussia e Russia i monarchi tentano delle riforme di modernizzazione. I questi tre Stati, i sovrani attuarono una centralizzazione e una laicizzazione tali da eliminare sia i privilegi feudali nobiliari, sia il monopolio della cultura e dell’istruzione del clero.

Dobbiamo tenere presente che tutti gli intellettuali e tutti i monarchi erano d’accordo nello svilire i privilegi clericali; riguardo i privilegi nobiliari, i monarchi erano ben felici di limitarli o eliminarli: se ciò incontrò il favore delle borghesie, dall’altro lato suscitò una forte opposizione della nobiltà.

Molti sovrani illuminati, più che essere realmente intenzionati al “progresso” illuminista, avevano l’obiettivo di rafforzare il proprio potere ai danni di nobiltà e clero. Il riformismo dall’alto che l’illuminismo chiedeva, legittimava l’accentramento dei poteri nelle mani del sovrano, in maniera tale da poter raggiungere gli obiettivi con più efficacia. Così, il monarca era giustificato ad intervenire in più ambiti da riformare (economico, giudiziario, fiscale e amministrativo). I governi assoluti avevano iniziato a espropriare i beni ecclesiastici (cosiddetti della “manomorta”) per le esigenze dello Stato. La maggior parte di questi beni passò in mano alla borghesia.

La più forte resistenza alle riforme illuminate venne dai Gesuiti. Nel 1759 furono espulsi dal Portogallo, accusati dal marchese di Pombal, ministro di Giuesppe I, di aver attentato alla vita del Re. In realtà, il sovrano voleva cacciarli dal paese, poiché nelle colonie americane avevano tanta autonomia da aver fondato uno “Stato nello Stato”. Le proprietà furono confiscate e incamerate dallo Stato. Spagna, Regno di Napoli e Austria seguirono l’esempio portoghese. Su pressione borbonica, papa Clemente IV soppresse la Compagnia di Gesù il 21 luglio 1773.

Francia 

Se negli altri paesi europei la sovranità fiscale era subordinata all’approvazione dei ceti (nobili, città e clero) in Francia, invece, il Re Luigi XIV era libero da tali limitazioni. Infatti, il monarca governava senza aver avuto più bisogno di convocare gli Stati generali; e riguardo al clero, era riuscito a sottrarre il clero locale al controllo esterno del Papa.

Dopo le guerre di successione, gli Stati europei dovettero affrontare il problema di risanare le finanze: ciò impose la necessità di riscuotere i tributi sulla base di un sistema fiscale efficiente, in cui ognuno ebbe l’obbligo di contribuire, senza scappatoie, al risanamento delle finanze pubbliche.


                                                    
Domini asburgici

Nei Domini asburgici ricordiamo il riformismo di Maria Teresa d’Austria (1717-1780). In conseguenza dei gravi problemi finanziari dovuti alla spese sostenute per la guerra dei sette anni e a causa delle necessità di dover mantenere un esercito permanente per ragioni di sicurezza (paura della Francia), il regno necessitava di introiti. Ma la situazione era aggravata dai privilegi di clero e nobiltà, che erano esentati dal carico fiscale, che gravava solo sulla classe contadina.

Per risolvere il problema economico, Maria Teresa cercò di indebolire il clero, aumentandone la tassazione e abolendone parte dei privilegi. Inoltre, cercò di integrare la funzione religiosa all’interno dello Stato. Dopo aver abolito conventi e scuole dei gesuiti (fondò scuole elementari di Stato; la censura religiosa fu sostituita dalla censura di Stato) aumentò il numero di parrocchie e parroci sottoposti all’autorità statale, diventando, così, funzionari civili.

Nei confronti dei nobili, Maria Teresa cercò di indebolirli per favorire il processo di centralizzazione statale. Tolse loro potere decisionale in merito alla riscossione delle imposte, avviando, così, una centralizzazione della riscossione fiscale. Impose alla nobiltà magiara la diminuzione o la revisione di obblighi feudali gravanti sui contadini. Abolì le autonomie amministrative delle province boeme e austriache (tranne Lombardia e Croazia), centralizzando il potere amministrativo: costruzione di uno Stato unitario. Nel 1749 fu completato il Catasto a Milano (Catasto “teresiano”, era un censimento delle proprietà del regno). Nel 1760 entrò in vigore il sistema d’imposizione sui redditi agrari, che distribuiva il carico fiscale in maniera più equa, colpendo i privilegi nobiliari. Parte degli introiti servivano per finanziare l’agricoltura. Impose l’unione doganale del regno, per favorire i commerci interni.

Giuseppe II d’Asburgo, che governò il Sacro romano impero tra il 1780 e il 1790, continuò la politica materna, accentrando il potere monarchico contro i particolarismi clericali e nobiliari. Nel 1787 introdusse il Nuovo codice penale, che prevedeva l’ abolizione della tortura, l’uguaglianza giuridica e l’abolizione dei privilegi. Diede il riconoscimento legale alla Massoneria e la libertà di stampa. Il sovrano si appoggiò alla classe borghese, nuova base del consenso. In politica fiscale continuò l’uso del Catasto, per distribuire in maniera equilibrata il peso fiscale sulle terre. Inoltre, secondo quanto affermavano i fisiocratici, l’aumento delle imposte fondiarie avrebbe dovuto spronare i proprietari a sfruttare meglio le risorse e spingerli a produrre di più.

Giuseppe voleva contenere i privilegi ecclesiastici e sottoporre le funzioni pubbliche di clero e Chiesa al controllo statale. L’editto di tolleranza nel 1781 (si distanziò dalla madre, fervente cattolica) fu a favore di protestanti, ortodossi, ma anche degli ebrei, che ottennero maggiori libertà (esercito e università per ebrei). La soppressione dei monasteri costituirono un fondo per riorganizzare diocesi, parrocchie e per la costruzione di scuole, ospedali e abitazioni.

Spagna

In Spagna Carlo III di Borbone salì al trono nel 1759 (Carlo VII come Re di Napoli, 1716-1788). Cercò di trovare soluzione ai problemi economici dello Stato. L’espulsione dei Gesuiti nel 1767 giovò all’incameramento dei beni ecclesiastici (la “manomorta”, estesa su un numero grandissimo di proprietà, precludeva l’impulso all’economia):

1. Limitò i poteri dell’Inquisizione
2. Favorì il libero commercio del grano
3. Assunzione di funzionari di estrazione borghese
4. Riduzione privilegi fiscali del medio - basso clero 
5. Favorì la recinzione dei demani comunali non coltivati, per investimenti dei privati
6. Incoraggiò l’industria e la liberalizzazione del commercio
7. Favorì la nascita di accademia in cui si diffusero le idee dell’illuminismo.

Istruzione e università, però, rimanevano ancora sotto il controllo della Chiesa.

Prussia

In Prussia, Federico II di Hohenzollern (1712-1786),  nell’opera “L’anti Machiavelli”, presentava se stesso come «primo fra i sudditi» seguace della giustizia e attento al bene del popolo.

Propose delle Riforme: istruzione elementare statale obbligatoria; allentò il controllo della censura; eliminò la tortura e la pena di morte; rafforzò l’apparato militare, in primis la marina. Economia mercantilistica: fondò la compagnia del Baltico per incrementare i commerci con i paesi dell’Europa nord orientale; per proteggere l’economia interna, potenziò il settore tessile e quello estrattivo nella regione della Ruhr. Aprì istituti di credito per sostenere i proprietari. Limiti del suo riformismo: non toccò i privilegi degli Junker, nobili proprietari terrieri; mantenne i contadini sotto obblighi feudali; la tassazione indiretta sui consumi colpiva i ceti più poveri; l’economia rimase nelle mani dell’aristocrazia e non esisteva la borghesia commerciale.

Russia

Caterina II, di origine tedesca, salì al trono di Russia nel 1762. Ammiratrice di Montesquieu e di Beccaria ebbe contatti con gli intellettuali illuministi (Voltaire e d’Alembert). Salì al potere tramite colpo di Stato ai danni del marito Pietro III.

In Russia il tentativo riformista era ostacolato dall’assenza di una classe borghese cui la zarina potesse appoggiarsi e la resistenza del ceto nobiliare, a cui Caterina dovette fare alcune concessioni. Caterina volle redigere un nuovo Codice di leggi ispirato ai principi riformatori diffusi in Europa. Convocò una Commissione, rappresentante tutti i gruppi sociali del paese,  per discuterne i contenuti. Ciò, invece, fu l’occasione in cui i nobili chiesero ulteriori privilegi: decentramento amministrativo e diminuzione del carico fiscale. I nobili continuarono a rafforzare il loro potere.

Se desiderate lezioni individuali contattatemi via mail: puglisi.giancarlo@hotmail.it

Segui le mie video lezioni su Youtube 


Se apprezzi i miei contenuti gratuiti, sostienimi!

 





Nessun commento:

Posta un commento

Lezioni individuali discipline umanistiche e supporto a studenti con disagi cognitivi

Cari studenti e studentesse, benvenuti sulla mia pagina personale. La mia attività Sono un professore di Filosofia , Storia , Scienze Umane ...