Tratto dal libro IL DEBITO DEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI NEI CONFRONTI DELLA FILOSOFIA. IL RAPPORTO TRA RAGIONE E FEDE
Per rispondere a questa domanda dobbiamo tenere a mente che
il Cristianesimo si diffonde nel mondo romano, pregno di cultura classica,
proprio nel momento in cui si realizza un accentramento del potere politico tale da spegnere ogni forma di opposizione e di pluralismo. Dalla
Repubblica si passa all'impero. Dopo la fine delle sanguinosissime guerre
civile e la conseguente instaurazione della pax augustea, l’ordine sociale e
l’unità dello Stato diventano l’obiettivo principale dei governi. A livello sociale ciò significa che il ricorso
alla tradizione culturale e religiosa romana costituiva un argine contro il
rischio del dissolvimento politico. Di conseguenza, ogni mancanza di
allineamento al filone etico - religioso della tradizione era vissuta come una
minaccia.
Descritto brevemente il contesto storico - politico, diviene
più chiaro il problematico rapporto tra nascente Cristianesimo e romanità.
Il Cristianesimo fa ricorso alla filosofia per diverse
motivazioni, riconducibili a quattro ambiti:
missione evangelizzatrice, apologia, lotta all'eresia,
costruzione della nuova teologia.
Per quanto concerne il primo punto, ogni credente riteneva
un dovere imprescindibile diffondere il messaggio evangelico, poiché al suo
interno vi era una nuova morale che dava riscatto ai sofferenti, la quale - e
questa è la nota rivoluzionaria - proponeva un'inversione della scala dei
valori morali. Umiltà, abnegazione, obbedienza, povertà rappresentano adesso
l’apice della perfezione morale, cosa che destava sospetto agli occhi della
cultura tradizionale di stampo greco - romana.
Tra i valori etici che più hanno infastidito le élite
annoveriamo la fratellanza e l'uguaglianza universale: tutti sono uguali e
fratelli al di là del ceto sociale e del potere politico; monoteismo, con il
conseguente rifiuto degli dèi romani, cosa che collocava i cristiani non solo
come atei ma anche come nemici dello Stato, poiché le divinità che si
rifiutavano di adorare erano proprio quelle che proteggevano la comunità
politica. Certo, una domanda viene spontanea: perché il monoteismo ebraico non
produsse la stessa reazione? Sebbene la risposta sia molto complessa, vorrei
soffermarmi su un aspetto: l'ebraismo non prevedeva un proselitismo (missione
evangelizzatrice) incalzante e pressante come il Cristianesimo, dunque una
tacita eccezione, laddove non costituisse pericolo per lo Stato, era concessa.
La questione che ha reso insostenibili i valori cristiani è
stata quella dell’universalismo: una religione che si rivolge all'intero genere
umano, andando al di là delle appartenenze nazionali, proponeva una nuova identità
che scardinava l'ordine costituito. Prima viene la comune filiazione divina,
poi la fedeltà allo Stato.
Le reazioni del potere politico e delle élite sociali non si
fecero attendere: intolleranza popolare e sanguinose persecuzioni statali hanno
reso la vita del Cristianesimo estremamente difficile.
La feroce opposizione al Cristianesimo ci conduce al secondo
punto: l'apologia. I primi autori cristiani proprio per l’esigenza difendersi,
hanno dovuto costruire un discorso apologetico comprensibile e rassicurante da
proporre ai propri interlocutori, i quali erano pagani, politeisti e pregni di
cultura filosofico - razionale. Era
necessario, dunque, elaborare un linguaggio a loro familiare all'interno del
quale proporre il cristianesimo in una linea di continuità con la cultura greco
- romana. I primi pensatori cristiani, dunque, hanno dovuto imparare la cultura
e la lingua greca (fortemente presente nella zona orientale dell’impero) per essere
compresi, al fine di convertire i pagani o per scongiurare le persecuzioni di
cui erano vittime. Da qui scaturisce l’esigenza di prendere in prestito quanto
di più utile ci fosse nella filosofia greca, per costruire una
"veste" del Cristianesimo che fosse accettabile dal mondo greco - romano.
Quando il Cristianesimo ha iniziato a imporsi come cultura
dominante, gli autori cristiani iniziano a elaborare una nuova teologia e a
stabilire i canoni dell’ortodossia. Questo processo di costruzione, però, deve
epurare tutto ciò che si discosta dall'opinione dominante, tacciandolo di
eresia. Costruzione teologica e lotta all'eresia, fortemente intrecciate,
richiamavano la necessità di utilizzare le finezze della metodologia
argomentativa filosofica. Inoltre, proprio l'assorbimento della filosofia con i
suoi metodi dimostrativi, argomentativi e razionali, poteva elevare il
Cristianesimo al rango di filosofia (di "scienza", come sosteneva
Clemente), in maniera tale da sconfiggere la cultura dei propri detrattori sul
loro stesso campo.
Proprio questo, però, conduce il cristianesimo a “tentare”
di trasformarsi in gnosi, cioè in conoscenza razionale. Da qui tutte le
contraddizioni che analizzo nel mio libro
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