L’interpretazione allegorica del Vecchio Testamento di Origene e le sue contraddizioni





Per comprendere l’esegesi allegorica di Origene, dobbiamo rispondere a un interrogativo preliminare: perché il filosofo ha bisogno di interpretare allegoricamente il Vecchio Testamento? Quale esigenza lo spinge nella direzione del superamento dell’interpretazione letterale?
Innanzitutto è bene definire brevemente cos'è un’allegoria: essa è una figura retorica attraverso cui un significato spirituale è veicolato attraverso figure materiali e concrete. I racconti nel Vecchio Testamento presentano immagini che hanno un duplice significato:

A.    apparente, che s’incarna nel significato letterale o materiale, quello che noi leggiamo in maniera immediata nel testo;
B.    autentico, che è quello nascosto e spirituale. 
Fatta questa premessa, proviamo a rispondere alla domanda posta prima.

Origene parte dall'analisi di tre problemi del Vecchio Testamento. In primo luogo, la rappresentazione divina veterotestamentaria è palesemente in contrasto con quella del Nuovo Testamento, poiché nel primo testo vi sono racconti in cui la bontà divina è non solo messa in discussione, ma anche palesemente negata. Infatti, spesso si è davanti a un Dio violento e geloso, il quale, molto spesso, sembra possedere i più terribili difetti umani. Ci significa che siamo di fronte a un Dio cattivo e antropomorfo.
Questo conduce Origene a porsi un interrogativo: questa immagine fortemente negativa, può essere una degna rappresentazione del Dio buono di cui parlano sia Gesù Cristo che il  Nuovo Testamento?
La risposta è ovvia e scontata, giacché quell'immagine non solo contraddice il dogma della bontà divina, ma rischierebbe di trascinare in un comune giudizio negativo anche il Dio del Nuovo Testamento.
Fatte queste considerazioni, Origene si trova di fronte a un paradosso teologico che lo obbliga a ripensare in senso allegorico i racconti del Vecchio Testamento, specie laddove questi mettono in discussione la bontà divina e descrivono l’immagine di un Dio antropomorfo.
Prima di procedere verso una breve spiegazione dell’esegesi biblica origeniana, sarà bene richiamare l’attenzione su un altro problema, rappresentato dall'aspetto materialistico del Dio veterotestamentario. Voglio ricordare che in quell'epoca il Cristianesimo, nell'ambito dello spirito apologetico e missionario, viveva una fase difficile, poiché doveva farsi accettare dal mondo pagano, cercando di rendere comprensibile e familiare il messaggio evangelico ai suoi interlocutori, i quali erano educati alla cultura filosofica. Il problema sorse quando il materialismo biblico incontrò lo spiritualismo greco, per il quale - eccetto che per lo Stoicismo – vi era una forte condanna di tutto ciò che è materiale, e solo ciò che è spirituale è degno di elevarsi al rango di divinità. Gli esempi più noti si rintracciano nel Platonismo (le idee) in Aristotele (il primo motore immobile) nel Neoplatonismo (l’Uno), nelle cui filosofie l’apice metafisico era presieduto da qualcosa di spirituale e, dunque, puramente immateriale. Origene sostiene, dunque, che il messaggio cristiano doveva essere tradotto in linguaggio filosofico e spiritualizzato.

Questo complesso di problemi conduce all'esegesi allegorica al fine di purificare l’immagine divina del Vecchio Testamento e accordala con quella del Nuovo Testamento rendendola, al contempo, fruibile ai pagani educati allo spiritualismo tipico della filosofia greca. Per compiere quest’operazione Origene fa ricorso alla filosofia, prendendo in prestito non solo dottrine o concetti, ma anche la metodologia interpretativa tipica della filosofia, più specificatamente il metodo filologico degli stoici, utilizzato da questi ultimi per difendere le divinità dalle accuse di antropomorfismo, poiché ritratte spesso in atteggiamenti sconvenienti che mettevano in discussione la loro dignità.

Dopo aver chiarito i presupposti dai quali parte Origene, possiamo descrivere la sua interpretazione allegorica e le contraddizioni che questa comporta.
Se nella lettura del Vecchio Testamento s’incontra un racconto che mette in dubbio la bontà, la spiritualità, o che presenta aspetti materialistici, ciò è il segno che si deve procedere oltre la lettera, alla ricerca del significato autentico e spirituale. In altre parole, ogni volta che ci si trova davanti a qualcosa di paradossale e indegno di Dio, si deve procedere verso l’interpretazione allegorica. Origene parte dai dogmi creduti per fede e, retroattivamente, reinterpreta allegoricamente tutto ciò che appare non concordare proprio con i dogmi cristiani.  Questo procedimento è chiaramente un circolo vizioso, poiché vuole dimostrare la bontà divina attraverso il criterio della bontà divina, vuole dimostrare la spiritualità attraverso il criterio della spiritualità, ammettendo a priori come vero ciò che in realtà si vuole dimostrare, dando luogo, in ultima istanza, a una palese forzatura interpretativa.

A questo punto una domanda è lecita: perché Dio ha ispirato un testo il cui significato autentico è nascosto dietro immagini materiali che compromettono la reale comprensione della vera natura di divina? Origene sostiene che Dio abbia voluto preservare il messaggio divino dagli indegni. In parole povere, Dio ha volutamente ispirato un testo “problematico” proprio per generare nel lettore quello scandalo e quel disorientamento tali da condurlo ad un’analisi più approfondita del messaggio cristiano, verso la ricerca, oltre l’immagine materiale, del vero significato. 

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