L' influenza spagnola




Con il termine Influenza Spagnola s’intende una pandemia influenzale – chiamata la Grande Influenza - diffusasi tra il 1918-1919, con residui fino al 1920, la quale fu particolarmente contagiosa e difficile da combattere a causa della sua capacità di arginare le risposte del sistema immunitario. Secondo alcuni storici, essa è ricordata come la più grave forma di pandemia diffusasi nella storia, sia per la sua virulenza, sia l’ampiezza della sua diffusione. Nel 1918 si pensava che l’origine dell’infezione fosse batterica, secondo quanto affermava il batteriologo tedesco Richard Pfeiffer. Negli anni Trenta, invece, si scoprirà l'origine virale dell'infezione. Che sia l’una o l’altra la causa, tra il 1918 e il 1920 i farmaci antivirali e gli antibiotici non esistevano ancora. Essa scomparve da sola, senza che nessuna cura riuscì a sconfiggerla. La graduale diminuzione dei contagi fu forse dovuta ai provvedimenti presi dalle comunità locali, quali il contenimento del contatto sociale, l'isolamento, la quarantena, la chiusura delle scuole, il divieto di riunioni pubbliche e orari di lavoro scaglionati.

Le fasi
La diffusione dell’epidemia ebbe tre fasi: la prima tra marzo e luglio del 1918 circoscritta in Spagna ed Europa (fu contagiato re Alfonso XIII); nella seconda (a partire dal mese di agosto 1918) il virus dall'Europa si diffuse al resto del mondo e una probabile mutazione lo ha reso più violento; la terza fase si verificò tra febbraio e agosto 1919. Secondo alcune stime, fino al biennio 1920-21 vi erano ancora contagiati sparsi per il mondo, seppur in maniera trascurabile.
Come abbiamo visto per il Coronavirus in questi giorni, l’influenza spagnola da epidemia si trasformò in pandemia. Cosa significano questi due termini? Il termine epidemia indica che una malattia contagiosa attacca nel medesimo tempo e in un luogo circoscritto la popolazione di riferimento (dal greco epi demos, cioè nel – sopra – che incombe sul popolo); il termine pandemia (dal greco pan demos, tutto il popolo), invece, indica che la medesima malattia si è diffusa a livello globale, interessando più popoli all'interno della popolazione mondiale.

Dibattito storiografico
Sull'influenza spagnola il dibattito storiografico novecentesco è carente, pochissimi manuali di storia contemporanea ne parlano e, quando lo fanno, si limitano a una descrizione marginale e superficiale. Qualcosa si trova in saggi di storia sociale, magari di autori poco conosciuti, o in generi letterari come diari e memorie. Una delle più note fonti dell’epoca è costituita dalla corrispondenza tra Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Tra la saggistica, degno di nota per la completezza delle informazioni è il libro di John Barry The Great Influenza. The Story of the Deadliest Pandemic in History e Laura Spinney nel suo libro 1918 L’influenza spagnola.
A partite dagli anni Novanta e nei primi anni Duemila, grazie al prosieguo di alcune ricerche scientifiche, la ricerca storiografica ha trovato nuovo stimolo, ed è comparsa qualche pubblicazione importante. In corso d’opera, dunque, la riscoperta di un fenomeno storico che, forse, avrebbe potuto aiutarci in un momento difficile come questo.



Le Cifre e la Guerra 
La diffusione dell’influenza si sovrappose alle fasi conclusive della Grande Guerra, durante le ultime operazioni militari e le trattative di pace a Occidente, mentre in Russia si svolgeva la guerra civile antibolscevica. 
Proprio il contesto di guerra ha influenzato la capacità di censire il numero di contagi e la prontezza nel contrastare l’influenza. Leggerete spesso tantissime stime diverse le une dalle altre. Perché? Nel momento in cui gli Stati erano impegnati nella conduzione e conclusione delle fasi ultime della guerra, non vi era spazio per censire un fenomeno ritenuto secondario.  Inoltre, la capacità delle Istituzioni non erano in grado di censire fedelmente e razionalmente i i casi di contagio e decesso  sia per il conflitto internazionale, sia per via di un perfezionamento burocratico che ha dovuto attendere diversi anni per compiersi. Questa carenza di dati ufficiali provenienti dai governi è stata parzialmente colmata da diversi studi, i quali propongono cifre su cui non sono tutti concordi.
Dobbiamo riflettere su una questione: posto che i governi avessero avuto la possibilità e la volontà di registrare fedelmente decessi e contagi, nel clima di guerra dell’epoca, la diffusione di questi dati non avrebbe fiaccato la popolazione (civile e militare) e mostrato pubblicamente la propria vulnerabilità al nemico? Sarebbe stato conveniente, ai fini della vittoria e degli obiettivi da raggiungere nei trattati di pace, farsi vedere dal nemico pubblicamente indeboliti? Non si sarebbe verificata la convenienza politica dell’ordine di censura?
Tornando al discorso delle cifre, volendo tracciare delle stime orientative, possiamo dire che l’influenza spagnola infettò circa 500 milioni di persone, tra un terzo e un quinto della popolazione mondiale (circa il 5% del totale mondiale), provocando un numero di decessi tra i 50 e i 100 milioni (secondo alcuni studi più recenti si parla di oltre 100 milioni di morti). In Italia alcune stime registrarono quasi 400.000 decessi, altre quasi 500.000 o 700.000, altre ancora sfiorano il milione. Procedendo secondo stime probabilistiche, si registrarono 675.000 decessi negli Stati Uniti, 250.000 in Francia, 18 milioni in India. La mortalità tra gli infetti era di circa il 10 e il 20 %, ed era più diffuso tra i giovani adulti sani di età compresa tra 15 e 34 anni.

Perché l’influenza spagnola colpiva più i giovani che gli anziani?

Il virus H1N1 (probabilmente di origine aviaria) responsabile di questa influenza, colpiva i sistemi immunitari dei giovani, molto più reattivi che negli anziani. Questa reattività innescava una tempesta citochimica (le citochine sono molecole proteiche che inducono le cellule a resistere alle infezioni) così violenta da riempire di fluidi i polmoni, ostruendo le vie respiratorie. Gli anziani, invece, ebbero reazioni immunitarie meno eccessive e questo fu un fattore protettivo. S'ipotizza, inoltre, che la loro minore vulnerabilità sia dipesa da una sorta di rafforzamento immunitario che ebbe forse le sue origini da un ceppo influenzale diffusosi negli anni Trenta dell'Ottocento.
L’alto indice di mortalità, purtroppo, è stato favorito anche dalla risposta politica dei governi. Durante la Grande Guerra, la spesa pubblica nazionale era impiegata per le attività belliche e nessun sistema sanitario pubblico era lontanamente paragonabile a quelli in vigore oggi. Solo le classi agiate, dunque, potevano accedere alle cure mediche. All'assenza di un'adeguata risposta sanitaria, si aggiunsero le cattive condizioni igieniche e la malnutrizione, che produssero maggior facilità nel provocare il decesso della popolazione residente nelle aree disagiate. Soltanto dopo il 1920 alcuni governi decisero di elaborare politiche atte a costruire un sistema sanitario fruibile dalla maggioranza della popolazione.
Altro fattore che favorì il contagio e i decessi, fu l’assenza dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (agenzia ONU fondata solo nel 1946 ed entrata in vigore nel 1948), organismo sovranazionale che ha l’obiettivo di monitorare l'emergere di nuove malattie e di comunicarle ai paesi membri, in maniera tale da mettere i governi nelle condizioni di prevenire diffusioni pandemiche. 

Origine e diffusione
Da dove partì l’influenza spagnola? Al riguardo non vi è alcuna certezza. Alcuni pensano che provenisse dagli USA, altri sostengono che il contagio sia partito dalla Cina per poi diffondersi in Europa e nel resto del mondo, altri ancora pensano che tutto fosse iniziato in Francia.
La prima ipotesi, forse la più probabile, è esposta nel libro - già citato prima - di John Barry The Great Influenza. The Story of the Deadliest Pandemic in History. L’autore sostiene che la diffusione del virus sia stata causata dallo sbarco in Europa nel 1917 dei soldati americani per prendere parte alla Grande Guerra, il cui massiccio spostamento ha contribuito al contagio in tutta Europa. I soldati americani destinati al fronte europeo, erano addestrati in campi molto affollati (nella contea di Haskell nel 1917), dove si registrarono i primi contagi. L’arrivo in Europa avvenne a Brest, in Francia: proprio qui fu registrato come il primo focolaio europeo, da cui poi partì il contagio in tutto il territorio europeo, a causa degli spostamenti delle truppe nelle zone di guerra.

Quanto fu veloce la diffusione dell’influenza spagnola?

Secondo i canoni odierni - a paragone della velocità della diffusione dell’attuale Coronavirus - la Spagnola ebbe una diffusione lenta, proporzionata ai mezzi di trasporto dell’epoca (navi e ferrovie). Il trasporto aereo era minimo, più diffuso specialmente in ambiente militare piuttosto che per trasporto civile.
Se l’origine non fu in Spagna, perché allora fu chiamata Influenza Spagnola?
Durante la Grande Guerra la censura degli organi d’informazione vietava di diffondere notizie che potessero generare disordine sociale. La diffusione delle notizie sull'influenza spagnola avrebbe gettato nel panico fronte interno e fronte esterno degli Stati nazionali, ciò popolazione civile e militari, con il rischio di generare rivolte o rischiosissime forme di insubordinazione. Sebbene tenere alto il morale della popolazione era già difficile per le condizioni di guerra, è facile immaginare le reazioni di fronte ad un’altra catastrofe, stavolta silenziosa e contro cui nessuna arma poteva funzionare.
La Spagna, invece, non avendo preso parte alla guerra, non era colpita dalla censura, e dunque fu il primo paese a rendere nota l’epidemia, anche perché registrò un contagiato illustre, il re Alfonso XIII, che sopravvisse al virus (ricordiamo anche il contagio del presidente USA W. Wilson e il diplomatico inglese M. Sykes, il quale morì durante i lavori della Conferenza di Parigi del 1919). Gli spagnoli, dal canto loro, pensavano che l’influenza avesse avuto origine in Francia e la chiamarono influenza francese. L’associazione del virus alla Spagna avvenne perché gli altri Stati europei indicarono il paese iberico non come il primo che rese pubblica la malattia, ma – erroneamente - come quello in cui essa si manifestò per primo, dunque come luogo d’origine.

Gli effetti sull'economia
Anche sugli effetti economici si registra una carenza di studi di settore e molte domande rimangono senza risposta. 
Citerò qui alcuni studi i cui esiti non sono tra loro concordi. Il Maddison Project, nel biennio 1918-1919 il Pil procapite dell’Europa occidentale era crollato del 7,78%. Tra le cause evidenti vi erano gli effetti economici della guerra (inflazione, spese militari), spese per la riconversione industriale e la contrazione dei commerci. In questo contesto, quanto ha inciso l’influenza spagnola? Sarebbe ovvio pensare che l’incidenza sia stata importante, poiché la spagnola, colpendo maggiormente individui giovani in età lavorativa, avrà sicuramente influito negativamente sulla disponibilità di mano d’opera e sull'esistenza di un mercato di consumatori, sulla domanda e sull'offerta di servizi e produzione dei beni. Solo che consumo e offerta erano già indeboliti dalla guerra, dunque è molto difficile isolare l’influenza spagnola e valutarne gli effetti determinanti sull'economia. 
Sarebbe utile verificare gli effetti economici laddove l’influenza spagnola è sola nella determinazione degli effetti. Il caso degli USA è significativo. Sebbene partecipassero alla guerra, i combattimenti non si sono spostati nel continente americano, dunque alcuni dati delle città degli Stati Uniti sarebbero potuto essere utili. La gran parte dei dati disponibili, però, furono interpretati come recessione economica dovuta alla riorganizzazione dell'economia post bellica, senza tener conto di un eventuale effetto dovuto all’epidemia. Sugli effetti economici negli USA, uno studio recente (Brainerd e Siegler, 2006), ha evidenziato come gli stati americani maggiormente colpiti dalla pandemia, hanno registrato sostanziosi aumenti salariali rispetto a quelli meno colpiti. La logica sottesa mostra che se vi è un calo di mano d’opera dovuto alle morti dei giovani adulti, chi rimane in vita ha un potere contrattuale maggiore, poiché nel mercato del lavoro la domanda è superiore all’offerta, rendendo quest’ultima più costosa. 
Uno studio ancor più recente (Karlsson, Nilsson e Pichler, 2013) sugli effetti economici dell’influenza spagnola come fattore determinante isolato riguarda la Svezia, paese che non ha partecipato alla guerra. I redditi più alti e quelli più bassi sono diminuiti, generando una diffusa povertà. La mortalità del virus, però, non ha inciso positivamente sull’aumento salariale, poiché al venir meno della mano d’opera maschile si è fatto ricorso al lavoro di donne e bambini, contenendo eventuali sbalzi del costo del lavoro. 
Secondo molti esperti, gli effetti più importanti sull’economia furono causati dal clima di sfiducia diffuso presso la popolazione. Colpiti dal virus, dalla crisi sociale, economica e politica a causa della guerra, gli europei dell’epoca hanno vissuto in un clima di diffidenza, sospetto e sfiducia esacerbato, chiaramente, dall'arrivo dalla pandemia. Le istituzioni governative e i servizi sanitari nazionali, inoltre, si sono dimostrati inefficaci nell'affrontare il contagio. L’incertezza delle prospettive future non poteva certo giovare alla ricostruzione economica. 

La situazione italiana
L’Italia ebbe circa quattro milioni e mezzo di contagi, e un numero di decessi compreso tra 400.000 e il milione. Come negli altri paesi impegnati nel conflitto, anche qui le contromisure del governo e delle amministrazioni locali sono arrivate in maniera tardiva, quando era ormai impossibile negare la pandemia davanti all'opinione pubblica. I primi provvedimenti nazionali e locali risalgono all'autunno del 1918. Il Comune di Milano aveva emanato indicazioni volte a evitare il contagio dei cittadini, altre amministrazioni locali posticipavano l’inizio dell’anno scolastico, riducevano gli orari di apertura degli esercizi commerciali e chiudevano i luoghi ricreativi per evitare ogni sorta di assembramento. All'epoca, com'è accaduto per  l’odierno Coronavirus, si assisteva allo scontro tra l’esigenza di non fermare la produzione economica e l’esigenza di preservare la salute dei cittadini. Certo, una differenza è ovvia: la macchina produttiva italiana, proprio nell'autunno del 1918 era impegnata a infliggere il vittorioso colpo di grazia all'Austria. Il ceto dirigente, dunque, era restio a fermare la produzione industriale. Il governo, dunque, sceglie di non fermare le fabbriche, lasciando che gli operai, durante gli spostamenti, infettino mezzi di trasporto e fabbriche. Nessuna precauzione sulla distanza di sicurezza è rispettata e le precauzioni non sono tenute in gran considerazione. Aggiungiamo le carenti condizioni igieniche dei luoghi di lavoro in tempo di guerra. La situazione negli ospedali non era delle migliori: condizioni di lavoro inadeguate, strumentazione e protezioni carenti condussero alla protesta dei medici e, in alcuni casi, all’abbandono del servizio.

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