La nascita della tragedia. Dionisiaco e Apollineo



Nell'opera Nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo (1872), F. Nietzsche espone i due tratti fondamentali dello spirito umano che prendono forma nella tragedia Attica: Apollineo e Dionisiaco.

Apollineo e dionisiaco

Il termine apollineo deriva da Apollo, Dio del sole e della luce che illumina l'intelletto, che rappresenta l’impulso alla forma, il senso della misura e del limite. Esso si esprime nell'arte scultorea e nella poesia epica, poiché entrambe tendono all'armonia e all'ordine. 

In termini semplici, l’apollineo è la tendenza dello spirito umano a imprimere l’ordine al caos, organizzando le cose in forme armoniche al fine poter essere catalogate e identificate (principio d’individuazione). 

Il termine dionisiaco deriva da Dioniso, Dio dell'ebbrezza, dell'estasi, del divenire, del caos, dell'istinto vitale e della passione sensuale, è l’impulso alla gioia, adesione all'esistenza e a tutti i suoi aspetti irrazionali, contraddittori e insopportabili. Esso infrange i limiti della ragione, poiché il caos supera i principi razionali di determinazione e individuazione. Il dionisiaco si esprime nella musica, nella danza e nella poesia lirica.

In termini semplici il dionisiaco è l’abisso irrazionale dell’uomo, il ricettacolo dei suoi impulsi, della sua tendenza all'espansione di sé, esso incarna il coraggio di accettare gli aspetti più terrificanti dell’Essere.


Rapporto tra apollineo e dionisiaco

Nietzsche sostiene che l’impulso fondamentale della sensibilità greca sia proprio il dionisiaco, poiché è in grado di cogliere il dramma dell’esistenza. La consapevolezza di questa ineluttabile tragicità, conduce la cultura greca a trovare un modo per sublimarla, per convertirla in positivo. Questo è compito dell’arte tragica, la quale compie un miracolo metafisico, poiché sublima il caos in forma, l'assurdo in armonico, al fine di creare una rappresentazione del reale sopportabile per l’uomo. Insomma, il dionisiaco si scarica in una serie d’immagini apollinee, e i due impulsi sono in perfetto equilibrio: la visione dell’esistenza è completa, poiché la rappresentazione tragica presenta un perfetto equilibrio tra la verità dell’Essere (irrazionale, caos) e la tendenza umana a individuare un ordine delle cose (razionale). Si compie quello che Nietzsche chiama “miracolo metafisico”.

In parole semplici, i greci hanno compreso il dramma dell’esistenza e del fatto che essa non sia calibrata sulle aspettative dell’uomo. L’arte, dunque, riequilibra la situazione, attraverso il tentativo di sublimare l’incomprensibile in qualcosa di familiare e di razionale. Gli dèi olimpici, ad esempio, rappresentano una sublimazione apollinea, poiché gli aspetti insopportabili dell’Essere sono spiegati come intervento degli dèi (premi e punizioni), cercando una logica razionale nella realtà, affinché essa sia resa più sopportabile. Il meccanismo è simile alla teodicea cristiana: per spiegare il male, la morte e il dolore, la religione inventa un peccato originale, un Dio, una Rivelazione, una promessa dell’aldilà che rendono ragione del male e dell’irrazionale del mondo.



La tragedia di Eschilo e Sofocle

Nella tragedia greca i due impulsi convivono in perfetto equilibrio. In linguaggio nietzschiano si dice che "la tragedia è un coro dionisiaco che sempre di nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini".

Che cosa significa?

Quest’affermazione indica che l’impulso tragico del dionisiaco è espresso tramite le forme finite dell’apollineo. Nella tragedia greca, ad esempio, la componente musicale incarna il dionisiaco. Essa si esprime nel coro dei satiri (creature semi-divine seguaci di Dioniso) che danzano e intonano il ditirambo (forma di lirica corale greca). 

La trama dell’eroe e il ruolo dell’attore che razionalizza il messaggio dal coro, rappresentano l’apollineo. È proprio la tensione esplicatrice apollinea che realizza il miracolo metafisico, poiché essa converte o sublima ciò che è informe in qualcosa che ha forma compiuta; ancora: essa rende comprensibile proprio ciò che appare sfuggente e tragico. Dioniso, insomma, è stato sublimato in una forma apollinea, che individua il non individuabile (principio d’individuazione). 

Alla fine della tragedia, però, la musica trionfa sull'individuazione, e lo spettatore è ricondotto alla gioia eterna del divenire, all'interno del quale trova posto anche l’impulso distruttore.
                                           

La tragedia di Euripide

Secondo Nietzsche, Euripide compie il suicidio della tragedia greca, poiché elimina il dionisiaco e risolve tutto nella forma razionale. La scena diventa un insieme di vicende razionalmente concatenate che portano sulla scena l’uomo comune, suscitando il riso dello spettatore. Elemento che attesta quanto appena detto è l’introduzione del prologo, che sin dal principio spiega l'azione, eliminando ogni tensione epica, rispecchiando l’illusione razionalista che tutto sia prevedibile e controllabile.

La concezione estetica euripidea è lo specchio della filosofia razionale di Socrate, la quale – afferma Nietzsche – compie il primo tradimento della vita, poiché tende a forzare la realtà in una forma razionale che ne sopprime l’essenza tragica, imprevedibile, con tutto l’apparato pulsionale della natura umana, che viene soppresso a favore del prevalere della ragione. La prospettiva antropologica e cosmica è pervasa da un eccesso di “ragione”, nella pretesa illusoria che tutto possa essere compreso razionalmente, negando la reale indifferenza dell’Essere nei confronti dell’uomo. La totalità della realtà, secondo Nietzsche, è incomprensibile e irrazionale, e la pretesa socratica è una metafisica illusoria che allontana l’uomo dalla vita. Socrate prospetta, per contro, un cosmo ordinato, poiché retto da un’intelligenza razionale. 



  Se il Cosmo è razionale, dunque, significa che esso è pervaso dal bene e dalla giustizia. Di conseguenza, all'uomo giusto non può accadere nulla. La missione moralizzatrice della ragione vince sulla natura istintuale umana. L’uomo è scisso si trasforma in un essere represso, la cui eredità si manifesterà in tutta la sua forza nel Cristianesimo. 

In termini semplici, è come se Socrate avesse preso esempio dallo Spirito apollineo e l’avesse portato all'esasperazione; solo che, mentre l’apollineo convive e si relaziona al dionisiaco, il socratismo, invece, lo nega, consegnandoci una visone illusoria dell’esistenza. Egli è ottimista e confida nella bontà dell’universo e nella sua razionalità, e questa concezione si manifesta in alcune rappresentazioni sceniche di Euripide. L’intervento del deus ex machina, ad esempio, che interviene alla fine della rappresentazione, incarna l’illusione umana di poter dare senso ad ogni cosa. L’introduzione del prologo (che anticipa allo spettatore come andrà a finire il racconto) e il progressivo ridimensionamento del ruolo del coro (e quindi la rimozione della musica) rispecchiano l’eccesso di ragione tipico del socratismo, che nulla lascia al caso.

L’errore, l’assurdità e l’orrore sono rimossi, la natura è concepita come un freddo meccanismo e l’arte è soltanto la mera imitazione della realtà. Le motivazioni delle azioni dei personaggi si frappongono antiteticamente alla tragicità dell’azione eroica. L’estetica si riduce a razionalismo asettico, poiché la categoria della bellezza è ricondotta allo spirito di verità scientifica. L’arte, dunque, perde la sua essenza metafisica e diventa intrattenimento e divertimento.

Concludendo, Nietzsche sostiene che Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. Il forzare la realtà ad entrare in una schematizzazione razionale, Nietzsche lo rintraccia anche in Platone, nel Cristianesimo e nella filosofia del suo tempo, che nutre una cieca fiducia nella scienza e nella ragione. La presunzione di poter controllare il mondo tramite la ragione, altro non è che un socratismo moderno, ignaro della vera essenza drammatica dell’Essere.

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