Il termine Populismo, fra i
più diffusi nel linguaggio politico, si presta a interpretazioni controverse e
a strumentalizzazioni di ogni sorta. Per i politologi, infatti, esso è una
categoria politica vaga e sfuggente, che cambia in base al contesto politico e
sulla cui definizione non tutti concordano.
Per capire cos’è il populismo,
dobbiamo fare due cose: capire la storia del termine e verificare i contesti
politici nei quali esso è adoperato. Solo allora avremo una descrizione
pragmatica.
Una definizione molto ampia e
generale, però, è possibile. Nei vari usi del termine, infatti, un aspetto
rimane costante: il popolo. In tal senso, populismo indica sempre come una
strategia o programma politico che mette al centro il popolo. Chiaramente, si
dovrà distinguere quali sono le intenzioni che queste strategie e programmi
hanno nei suoi confronti: per il popolo o contro il popolo?
Il
populismo russo
Il termine italiano populismo traduce
l’inglese populism, che a sua volta traduce il russo narodničestvo, che indica
la prima manifestazione nella storia, cioè il populismo russo.
Il populismo nasce in Russia tra
fine Ottocento e inizio Novecento come movimento politico atto a sovvertire l’autocrazia
zarista e instaurare il socialismo, senza passare dalla fase capitalista tipica
delle società industriali occidentali liberali. I populisti russi, cioè i «narodniki»,
credevano che lo sviluppo sociale, politico ed economico della Russia dovesse
seguire un modello tutto suo (la via slavofila), fondato sul mondo agrario e
sulla classe contadina, e non su quella operaia come prevedeva il modello
marxista.
Il soggetto politico investito di questa missione rivoluzionaria, dunque, è la classe contadina (i servi della gleba), che viveva in una condizione di sfruttamento e subordinazione economica. Per compiere la rivoluzione sociale, però, era necessario organizzare e istruire la classe contadina attraverso l’attività di propaganda degli intellettuali (narodniki, cioè i populisti), i quali ne avrebbero istruito e diretto l’azione rivoluzionaria. Ciò avrebbe posto le basi della società anarchica, senza Stato, senza proprietà privata, fondata sulla proprietà comune della terra.
Nel 1891 nasce negli Stati
Uniti d’America il Partito del Popolo (People’s
Party o Populist Party), sciolto
dopo le elezioni presidenziali del 1908, il quale rappresentava gli interessi
dei contadini del Midwest e del Sud. Il programma politico prevedeva la lotta
alle concentrazioni industriali e finanziarie, la libera coniazione
dell'argento, la nazionalizzazione dei mezzi di comunicazione, la limitazione dell'emissione
di azioni, l'introduzione di tasse di successione e l'elezione popolare diretta
delle maggiori istituzioni federali.
Sia i populisti russi che
quelli americano, avevano una visione romantica del concetto di popolo, come
depositario di tradizioni, purezza morale e lealtà.
Il
populismo argentino: il peronismo e il controllo sociale
Il termine indica anche la
politica di Juan Domingo Perón, caratterizzata da una forte presenza dello
Stato in economia. La terza via peronista era volta all’integrazione sociale ed
economica sotto il controllo politico. Il modello argentino, infatti, prevedeva
un sistema misto privato-pubblico (con dei piani quinquennali sul modello
sovietico), una politica di welfare assistenziale e di sostegno ai sindacati di
operai e dipendenti privati. I suoi cui sostenitori provenivano dagli strati
popolari ed erano chiamati descamisados, cioè scamiciati.
La presenza statale era volta
a garantire la transizione dell’Argentina verso la modernità, dall’economia
agricola a quella industriale. L’industrializzazione dell’economia generò la
nascita di una classe operaia (proveniente dalle campagne), coinvolta in un
allargamento della partecipazione politica, atto a garantire consenso popolare al
governo e una maggiore protezione sociale. Centrale è la presenza di un leader
carismatico, appoggiato dall’esercito e portavoce del popolo, con il quale
intrattiene un rapporto diretto - non mediato dalle istituzioni tradizionali -
e rispetto al quale ne incarna le aspettative sociali.
Sostanzialmente, dietro
l’atteggiamento dei tali regimi populisti sudamericani, vi è l’intenzione di
monitorare il popolo per evitare derive rivoluzionarie, lotta di classe,
eccesso di parlamentarismo, di cui la storia europea è maestra. Al soggetto più
pericoloso, il popolo, si garantisce una protezione speciale: non i partiti
come avviene in Europa e nei sistemi liberali e capitalistici, ma è
direttamente il potere più forte che si occupa delle esigenze dei più poveri,
al fine di dare la parvenza di maggiori garanzie. Ecco perché il capo del
governo si erge come “difensore” del popolo, il quale è tenuto a bada tramite
l’integrazione nell’istituzione governativa. Ciò garantisce in maniera più
sicura i processi d’industrializzazione e gli interessi delle èlite.
Mentre il populismo russo e
americano si presentavano come movimenti antisistema che nascevano dal basso,
il populismo argentino e quello sud americano in generale, si presentavano come
prassi di governo provenienti dall’alto, tipiche dei paesi con sistemi
economici, sociali e politici in rapido sviluppo.
Chiaramente la lista non si
esaurisce qui (vedi chavismo, bonapartismo, giacobinismo), ma ho voluto
prendere i modelli più rappresentativi.
Il
populismo è di destra o di sinistra?
Adesso spostiamo la nostra
attenzione sull’aspetto semantico, mediante l’analisi del termine nei
principali dizionari.
Treccani
Il termine populismo indica l’atteggiamento ideologico di stampo socialista
che esalta in modo demagogico (demagogia:
propaganda lusingatrice delle masse allo scopo di conquistare e mantenere il
potere) il popolo come depositario di valori positivi. Il peronismo argentino è
il modello populista tipico dei paesi che passano dall’economia agricola a quella
industriale, caratterizzati da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le
masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che possono
più facilmente controllare e far progredire i processi d’industrializzazione.
Garzanti
Garzanti fa riferimento a tre
parametri:
Politico. Il populismo è un atteggiamento politico, sociale o
culturale che tende al miglioramento di vita delle classi più povere, con
un’impostazione dottrinale non sempre definita in senso socialista.
Spregiativo. Atteggiamento
politico demagogico che ha lo scopo
di accattivarsi il favore del popolo, specie per ottenere dei voti.
Storico. Dovere degli intellettuali di mettersi al servizio del popolo.
Il dizionario Garzanti presenta una definizione ideologicamente più flessibile, con un potere categorizzante più esteso della Treccani. Quest’ultima, infatti, ancorata alla genealogia storica del termine (il populismo russo), non riuscirebbe a dar ragione di quei populismi demagogici di destra che non hanno affatto rivendicazioni socialiste.
Populismo di destra
Il populismo di destra propone,
tendenzialmente, una politica economica liberista (meno tasse, flat tax,
detassazione piccola impresa), rifiuto dell'uguaglianza sociale e del welfare
state, critica al multiculturalismo, contrasto all'immigrazione e incitamento
all’odio razziale, euroscetticismo, accentuazione strumentale delle radici
tradizionali, come famiglia e appartenenza religiosa. Il concetto di popolo è esclusivo
e divisivo, poiché include solo gli appartenenti a una certa
nazionalità ed emargina minoranze culturali e linguistiche, verso le quali
nutre diffidenza e le rende capro espiatorio dei malesseri sociali, indicandoli
come nemici del “popolo”. Il populismo di destra costruisce il suo consenso
popolare ed elettorale sulla capacità di saper convogliare l’odio dei ceti
rappresentati verso queste minoranze.
Populismo
di sinistra
Il populismo di sinistra marca
di più l’accento contro l’èlite al governo, si propone come anti sistema, è
fautore dello statalismo economico attraverso la subordinazione dell’economia
alla politica, propone misure di welfare state (redditi minimi garantiti e
sistemi pensionistici sostanziosi), al fine di ottenere la giustizia sociale
negata dall’èlite, anche a costo di aumentare enormemente il debito pubblico.
Esso, dunque, è antiliberista e contrario alla globalizzazione.
Esempi storici sono il
giacobinismo di Robespierre, stalinismo, castrismo e chavismo. Il concetto di
popolo è più inclusivo rispetto alla destra, poiché racchiude più categorie
sociali al suo interno.
Populismo
misto
Vi sono partiti populisti che
non si collocano né a destra né a sinistra, poiché i contenuti dei loro
programmi prevedono o elementi di entrambi gli schieramenti, o elementi
ambigui, vaghi, contraddittori e suscettibili di rapidi mutamenti. Vedi temi
come l’euro, l’Ue, l’apertura alla collaborazione con l’èlite dominante.
Una
proposta di definizione
Adulazione,
opportunismo e demagogia
Potremmo dire che il populismo
è un insieme di atteggiamenti politici opportunistici e demagogici che
manifestano esternamente adulazione verso il popolo, sia attraverso
l’esaltazione dei suoi valori, della sua operosità, della sua superiorità
morale e delle sue aspirazioni, sia attraverso l’adulatrice comprensione del
suo malcontento socio – economico, all’interno di una strumentale e strategica
finta empatia. I populisti accusano i loro
propri nemici o una minoranza come
causa della sofferenza del popolo, al fine creare un rabbioso senso di rivolta e
di consenso.
Overpromising
e post verità
I populisti catturano
la fiducia del popolo grazie alla promessa di proposte politiche eccessive,
utopiche, folli, vaghe, nebulose, contraddittorie, tramite categorie talmente
ampie atte a includere qualunque desiderio delle masse. Insomma, si presentano
promesse politiche i cui contenuti non sono pragmaticamente possibili, ma
elettoralmente efficaci (overpromising e post verità). Quando si discute su
certi temi, il populista non cerca la verità o l’argomentazione che giustifichi
la sua idea, ma grida degli slogan che combaciano con quello che il popolo
vuole sentirsi dire, cercando la reazione emotiva popolare. In questa direzione
vediamo tante tristi strumentalizzazioni di basso profilo, quali crocifissi,
madonne, santini etc. Pur di ottenere consensi, il populismo produce quasi
sempre fake news e disinformazione. Inoltre, per pararsi da eventuali
confutazioni, usa il web come mezzo di diffusione, poiché a differenza dei mass
media tradizionali, non è sempre richiesta la fonte per accertare la veridicità
dell’informazione, che invece nelle mani di un interlocutore in diretta sarebbe
facilmente confutabile.
La
lotta fra élite
Il populismo è uno strumento
di lotta politica tra un’élite emergente o minoritaria e una tradizionalmente
consolidata e maggioritaria. La prima trasforma i secondi da avversari in
nemici, e li combatte facendogli rivoltare la gente contro. Quando l'élite
maggioritaria entra in crisi, l'élite minoritaria tenta il colpo basso
accattivandosi il favore del popolo, presentato come moralmente superiore e
vittima dell’establishment. L'élite minoritaria, allora, si propone come
difensore degli interessi dei ceti più deboli. L'élite maggioritaria entrata in
crisi, viene accusata (magari giustamente!) di sfruttare sia il privilegio
della propria posizione politica, sia il sistema democratico rappresentativo,
per garantire e proteggere i loro personali interessi economici.
Antisistema:
antiparlamentarismo e antipartitismo
Poiché l’establishment sfrutta
le posizioni che riveste in parlamento e nei partiti per mantenere i propri
interessi e tramare contro il popolo, questi sistemi rappresentativi e di espressione
democratica tradizionali devono essere distrutti, poiché la rappresentanza diviene
uno strumento di sfruttamento. Si deve, dunque, instaurare un sistema di
democrazia diretta che cancelli il mandato senza vincolo, al fine di bypassare
intermediari che minacciano gli interessi popolari.
La
democrazia diretta
I populisti mostrano al popolo
come la democrazia rappresentativa senza vincolo rappresenta un deficit, poiché
una volta eletti i membri dell’èlite maggioritaria, questi non rispondono più
agli interessi dell’elettorato. Ecco perché il populista convince il popolo a
cercare una forma di democrazia diretta con l’aiuto di un capo carismatico. Nei
populismi storicamente accertati, era frequente il ricorso alla legittimazione
plebiscitaria, cioè il ricorso alla voce del popolo per sanzionare l’operato
del governo. Sarà bene ricordare che questi sistemi di democrazia diretta erano
la base del consenso di massa del dittatore il quale, eludendo le istituzioni
mediatrici rappresentative (parlamenti e partiti), entrava in diretto contatto
con il popolo. Il sistema plebiscitario sul web ricalca esattamente questa
logica, poiché al momento dell’espressione della volontà popolare si può solo
scegliere tra un Si e un NO rispetto o a un quesito, o a una lista di
candidati, imposti dall’alto della poltrona dei populisti. Insomma, essa è una
forma di legittimazione del potere populista già predisposta a priori.
I populisti, inoltre, sono colpevoli di un altro inganno: fanno credere alla cittadinanza che la digitalizzazione sia sempre e per forza una manifestazione di un incremento di democrazia. Il fatto che postiamo sui social malesseri, insulti, opinioni, “massime filosofiche”, citazioni scopiazzate, folli analisi politiche ed economiche, non significa che vi sia una più vasta partecipazione politica. Semmai il contrario: lo sfogo “vomitato” sui social spegne l’impegno, spegne la serietà, spegne la riflessione meditata di quello che potrebbe essere un vero impegno al cambiamento. Non possiamo, inoltre, affidare le nostre speranze di democrazia diretta a un sistema informatico plebiscitario - tipico delle dittature – che è fuori da un controllo imparziale, senza un sistema di monitoraggio scevro da appartenenze politiche. Insomma, chi controlla il sistema informatico se non i populisti stessi?
Il
concetto di popolo
Chi è il soggetto sovrano,
cioè il popolo? I ricchi? I poveri? Il ceto medio? I piccoli imprenditori? Gli
operai? I grandi imprenditori? Gli anziani pensionati? I giovani universitari? Secondo
quale criterio circoscriviamo il concetto di popolo? Pensare che la
cittadinanza, nella sua eterogeneità di fattori economici, culturali, d’istruzione,
di contesto, sia una massa omogenea con le stesse aspirazioni è un’idea non
solo ingenua, ma anche disonesta.
Qualora esistesse realmente un
popolo, chi ci assicura della sua (mia e tua) superiorità morale? La
convinzione populista che il popolo abbia sempre ragione è demagogicamente
pericolosa, poiché vuole imprimere la falsa convinzione che la decisione della
maggioranza sia sempre retta. Per di più, un “popolo” istruito dai populisti
con disinformazione, fake news, sensazionalismo, urla indomite, potrà mai
prendere decisioni sagge? Il meccanismo democratico non diventerebbe
pericolosamente dittatoriale?
Inoltre, quando si stabilisce
la maggioranza, che fine fa, secondo per i populisti, la minoranza? Chi non la
pensa come la maggioranza, è “popolo” anch’esso? La minoranza è partecipe delle
decisioni politiche o ne è esclusa? Se le decisioni sono prese dalla
maggioranza, tutti i diritti e le tutele della minoranza che fine fanno?
Il sistema rappresentativo
garantisce la discussione e la negoziazione attraverso la logica parlamentare
proprio di fronte alla minoranza: questa è la democrazia reale contrapposta
alla dittatura della maggioranza.
Il sistema comunicativo dei
populisti, inoltre, è divisivo, poiché genera la convinzione che chi non la
pensa come noi, è da escludere dall’appartenenza alla categoria di popolo e
dalla decisione politica. Insomma, l’avversario diventa nemico e il dibattito si
trasforma in guerra. Un altro fraintendimento causato dal populismo è che
chiunque possa fare politica, nella convinzione che si possano mettere in
dubbio le qualità dei membri dell’èlite sulla base di un livellamento a
prescindere dalle reali competenze. Questo, chiaramente, è ascrivibile anche al
fastidio provocato dall’atteggiamento di superiorità dell’èlite, che spesso
ignora – se non anche offende – i membri della cittadinanza.
Perché
nasce il populismo?
Crisi,
disinteresse e corruzione
Possiamo dire che il populismo
nasce laddove la classe dirigente, ignara della sua missione, mostra
disinteresse verso i ceti più deboli, si rende protagonista di corruzione,
scandali, abusi di potere, accuse di spreco del denaro pubblico, si rende
protagonista di mediazioni parlamentari senza fine che spesso sfociano
nell’immobilismo, spesso nel fallimentare mantenimento delle promesse fatte. Si
crea, così, un clima di sfiducia, diffidenza, rabbia, rivalsa, esigenza di
moralizzazione, di purezza, di epurazione, di cambiamento radicale e repentino.
Un’èlite di minoranza se ne approfitta e spinge i cittadini, valorizzati come
popolo unito moralmente superiore all’èlite, a cercare un rappresentante della
volontà propria, un uomo o gruppo forte che ridisegni la macchina statale e
riveda le forme di partecipazione politica.
Campagna
elettorale permanente
Il populismo è presente
durante i periodi elettorali delle società di massa: per persuadere
l’elettorato si scende nelle piazze, ci si mette completamente al servizio del
popolo e dei suoi desideri, si va nelle strade a elemosinare il consenso
popolare, ci si fotografa con chiunque, dovunque, per le strade, nei mercati,
nei meandri più luridi dei sobborghi dimenticati dall’opportunismo elitario.
Finite le elezioni, tutto torna normale, nei palazzi del potere, voltando le
spalle alla gente comune (il popolo?). Il populista, invece, intuendo l’entusiasmo
popolare nel vedersi coinvolto, ascoltato, coccolato dai leader politici,
decide di rendere questo momento eterno: ecco perché i populisti sembrano in
campagna elettorale permanente.
Due
dicotomie del populismo
Concludo riportando quanto
dicono due importanti politologi al riguardo. Muller, nel libro Che cos’è il populismo, rintraccia una
nuova dicotomia, morale – immorale. Secondo lo studioso, a fondamento del
populismo vi è invece una logica ben precisa, una «visione moralistica della politica,
un modo di percepire il mondo politico che oppone un popolo moralmente puro e
completamente unificato […] a delle élite ritenute corrotte o in qualche altro
modo moralmente inferiori». Cas Mudde, politologo olandese, propone un’altra
dicotomia, quella alto – basso. Secondo la sua visione, il populismo è «una
risposta democratica illiberale al liberalismo antidemocratico» dell’establishment
corrotto. Esso sarebbe un tentativo di riavvicinare la politica al “popolo”, fatta
di gente semplice e onesta, rimasto escluso dal potere e dai privilegi. La
coppia alto-basso sostituirebbe sinistra-destra, ed ecco perché abbiamo un populismo
di sinistra e uno di destra, i quali possono entrambi porsi come difensori del
popolo. Questo conferma che il populismo non possiede un’ideologia ben
definita.
Conclusione
Chi pensa che il populismo sia il trionfo della politica, in quanto risposta alle esigenze del popolo, soffre di una fanciullesca ingenuità, poiché non si rende conto che è vittima di una subdola manipolazione. Le parole della propaganda, ricucite su misura sulle esigenze del popolo, generano cieca fiducia, come la fede nell'avvento di un messia, di qualcuno “che finalmente ascolta” le esigenze popolari. Insomma, come nell'avvento di una fede religiosa popolare, che redime il povero, il malato, la vittima, ricucendo un Dio su misura, allo stesso modo fa il populismo, ingannando, costruendo un'immagine politica ipocrita, una serie di promesse grossolane, irrealizzabili, esagerate che illudono l’aspirazione alla giustizia e promettono la redenzione dalla sofferenza sociale vissuta dal popolo/credente.
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