La successione di Augusto
Il governo di Augusto aveva portato pace interna, stabilità politica e fioritura economica. Lasciare il governo ad un familiare avrebbe assicurato la prosecuzione di quel periodo di splendore economico e politico: le aspirazioni dei ceti più elevati fece sì che si accettò la soluzione ereditaria del potere. Il senato doveva solo confermare quanto indicato dal predecessore.
Dinastia Giulio Claudia: Tiberio
La scelta cadde su Tiberio (il vero nome era Tiberio Claudio Nerone e si faceva chiamare Tiberio Cesare Augusto), esponente della dinastia Giulio – Claudia. Il 14 d. C., alla morte di Augusto, egli divenne imperatore di Roma. In realtà, Augusto aveva designato diversi successori: le varie morti degli eredi del Princeps fece sì che la scelta senatoria cadde su di lui, non il primo fra i prescelti adottati dal predecessore. Tale situazione causò una sorta di «sordo disordine» in seno alla sua famiglia: diverse congiure ordite contro di lui furono sventate, portandolo spesso ad atteggiamenti difensivi spesso spietati. A livello amministrativo cercò di evitare gli sprechi e risolse una crisi finanziaria abbattutasi su Roma nel 33 d. C.. Nello stesso anno, il prefetto romano della Giudea Ponzio Pilato decretò la sentenza di morte contro Gesù Cristo. Morì nel 37 d. C..
Dinastia Giulio Claudia: Caligola
Così chiamato per le calzature militari indossate (caliga), era figlio di Germanico, figlio adottivo di Tiberio per volontà di Augusto. Morto Germanico in circostanze misteriose, il figlio Gaio fu acclamato per volontà dei pretoriani e del popolo. Il suo obiettivo era annientare il potere del Senato per poter divenire «monarca assoluto», oggetto, quindi, di un culto religioso – imperiale come nei regni orientali. Fu considerato dai suoi contemporanei un «folle»: sia per le mire autoritarie, sia per la gestione dei risparmi statali accumulati da Tiberio (si narra anche che volesse nominare senatore il suo cavallo prediletto). Nel 41 d. C. una congiura ordita dai pretoriani lo portò alla morte. La «damnatio memorie» votata dal senato cancellò tutti gli atti decisi da Caligola, come a cancellarne la memoria storica e politica.
Dinastia Giulio Claudia: Nerone
Il successore, Claudio, governò fino al 54, quando fu avvelenato dalla seconda moglie Agrippina, che voleva al trono imperiale il figlio Nerone, avuto da Gneo Domizio Enobarbo.
I pretoriani, dopo esser stati pagati da Agrippina, acclamarono Nerone a soli diciassette anni, già adottato dall’imperatore Claudio. Il Senato, non fece altro che sanzionare quello che era il domino dei pretoriani, i quali acclamavano formalmente il successore precedentemente designato. Per i primi cinque anni governò sotto la tutela del filosofo Seneca e della madre, la quale fu uccisa poiché interferiva con il suo potere. Lucio Domizio Enobarbo, che assunse il nome di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, mise in atto la seguente politica:
1. Consolidò i confini orientali dell’impero: l’Armenia gravitò sotto il controllo di Roma, con l’imposizione di un re favorevole a Nerone, Tiridate, incoronato proprio a Roma.
2. Aumento del patrimonio imperiale: confische ai senatori.
3. Aumento moneta circolante tramite riforma monetaria: diminuì il peso delle monete (oro e argento): così, con la stessa quantità di metallo presente nelle casse statali, si potevano coniare più monete, che detenevano lo stesso valore nominale.
4. Progetti di opere pubbliche: l’obiettivo di tali opere era mostrare sfarzo e grandezza dell’imperatore. Si narra il grande incendio che scoppiò a Roma nel 64 d. C., causato proprio da lui, per poter realizzare i suoi progetti urbanistici. Per distogliere l’ira dei romani, accusò dell’incendio i cristiani, i quali furono crudelmente perseguitati e torturati, alcuni addirittura arsi vivi per illuminare gli spettacoli romani.
Nel 65 un complotto senatorio fu sventato: Seneca, uno dei partecipati, si suicidò. Nel 68 una rivolta senatoria anti imperiale portò Nerone a farsi uccidere da un liberto. La memoria della crudeltà di Nerone portò il Senato a decretare anche per lui la «damnatio memorie».
La dinastia Flavia
La morte di Nerone aprì la prima crisi imperiale: quattro imperatori si contesero il trono tra il 68 – 69 d. C. Prevalse Vespasiano: ebbe inizio il dominio della dinastia dei Flavi. Fu il primo imperatore di origini plebee appartenente ad un popolo italico (era un sabino). La sua acclamazione avvenne per volontà dell’esercito in Egitto, poi confermata dal Senato nel 70 d. C. Ciò attesta il crescente potere dell’esercito.
I punti salienti del suo operato politico:
1. Cercò una base di consenso solida e fedele: per questo all’interno del Senato eliminò membri corrotti da sostituire con elementi meritevoli a lui fedeli.
2. Diminuì il numero delle coorti pretoriane, ormai troppo pericolose; introdusse più provinciali nell’esercito.
3. Risanò le finanze statali, svuotate dalla politica di spreco di Nerone. Per fare ciò impose nuove imposte: la vectigal urinae, una vera e propria tassa sull’urina, che tutti i lavoratori della lana furono costretti a pagare per acquistare la pipì necessaria al loro lavoro di tinteggiatura.
4. Costruì le linee di difesa di confine (LIMES), protette da fossati e fortificazioni in funzione anti barbara, con una costante presenza militare.
Nel 70 il figlio Tito sedò con violenza una rivolta in Giudea: Gerusalemme e il suo tempio furono distrutti. Molti ebrei decisero di lasciare la Palestina: fu la diaspora ebraica (cioè dispersione volontaria), il più lungo esilio della loro storia.
Dopo Vespasiano il potere passò al figlio Tito per via ereditaria nel 79. Nell’80 il nuovo imperatore inaugurò il Colosseo. Nell’81 il governo passò al fratello Domiziano, dal temperamento tirannico, che lo condusse alla morte causata da una congiura (a cui partecipò anche sua moglie) nel 96. Potenziò il ruolo del ceto equestre, aumentò la paga di legionari, pretoriani e ausiliari. Intervenne sull’agricoltura, favorendo la coltivazione di cereali per avere l’autosufficienza alimentare, così da diminuire le importazioni.
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