LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO


La fenomenologia (dal greco phain
ómenon, cioè "apparenza") rappresenta il manifestarsi dello Spirito Assoluto tramite il "fenomeno", cioè tramite il suo "apparire" nella coscienza dell'uomo. Detto in parole semplici: l'Assoluto si manifesta lungo l'evoluzione storica della Ragione del genere umano.

La coscienza dell’uomo, dunque, si riconoscerà come Assoluto in un percorso storico (diacronico) a tappe, alla fine delle quali la coscienza umana (il finito) coinciderà con lo Spirito Assoluto (Infinito). Cosa significa "coinciderà"? L'autocoscienza umana guaderà se stessa, consapevolmente, come manifestazione razionale dello Spirito Assoluto. L'uomo e la filosofia, dunque, rappresentano il più altro grado che lo Spirito Assoluto ha a disposizione per apparire nel mondo.

  Prima di procedere in direzione dello sviluppo diacronico della ragione umana, Hegel pone una tappa iniziale che rappresenta il "risveglio della coscienza", ovvero un momento in cui la ragione umana, gradualmente, scopre se stessa come autocoscienza. Ciò, però, avviene a livello gnoseologico, momento in cui la ragione, grazie al confronto con l'esteriorità dell'oggetto, si "risveglia" come autocoscienza. 

Riassumendo: prima la ragione si scopre come autocoscienza (fase gnoseologica della fenomenologia), poi essa si riconosce come Spirito Assoluto (fase storico - diacronica della fenomenologia).

La fenomenologia, muovendosi per tappe ed essendo specchio del divenire dell’Assoluto, è anch’essa dialettica. Le tappe dialettiche della fenomenologia sono:

1. La Coscienza (Tesi)
2. L’Autocoscienza (Antitesi)
3. La Ragione (Sintesi)

1. La Coscienza si manifesta dialetticamente in tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto.
Analizziamoli uno per uno.

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a. Certezza sensibile. La coscienza è certa di una cosa singola determinata (questo albero, questa casa, questa bottiglia), presente qui e ora. Insomma: la coscienza è certa di percepire cose singole nel loro isolamento, come se tali oggetti empirici fossero degli oggetti assoluti, nel senso che la Coscienza pensa che l’oggetto in quanto esterno e isolato dal resto sia la conoscenza nella sua assolutezza.
In realtà, però, non appena la coscienza pensa l’oggetto, introduce una mediazione dialettica: nel dire “questa è una casa”, sottintende che l’oggetto “non è un albero” (Ricordiamoci Spinoza: ogni affermazione è anche una negazione; per affermare qualcosa, dice Hegel, ho bisogno di inserirla in un rapporto dialettico). L’oggetto, così, è entrato in relazione con un opposto: ciò attesta l’indeterminatezza della certezza sensibile e del suo isolamento. A riprova di ciò, Hegel stesso spiega come gli stessi concetti di “qui” ed “ora” non sono assoluti esterni all’uomo, ma si fluidificano e trovano il loro fondamento solo nel soggetto che li pone. Esempio: se scrivo in un foglio “adesso” e misuro l’orario e il giorno in cui li scrivo, avrò una data e un orario precisi, il giorno dopo, ritornando a guardare lo stesso foglio, la scritta “adesso” farà riferimento al giorno e all’ora il cui la rileggo. Stessa cosa con il “qui”. Se mi giro a 360 gradi, vedrò come il concetto di qui includerà diverse cose, come ad esempio, il “qui” a casa, il “qui” a scuola etc.…. Ogni cosa è un oggetto per la coscienza (identità ricavata grazie all’opposizione dialettica posta dalla coscienza).

b. Percezione: la Coscienza è consapevole che l’oggetto esterno è una costruzione interna che compie il soggetto sulla base di meri attributi percepiti con i sensi. Gli oggetti della percezione, insomma, non sono altro che un insieme di proprietà che la coscienza unifica e rende intellegibili in un concetto universale (esempio della bottiglia). L’oggetto, così, è risolto all’interno della coscienza (Idealismo). Soggetto e oggetto sono distinti ma non separati.

c. Intelletto. La Coscienza si volge verso una maggiore consapevolezza di sé, poiché riconosce che la costruzione dell’oggetto è fatta sulla base di “leggi dell’intelletto” che permettono di unificare i dati della conoscenza. La realtà trova fondamento, nel senso di “poter essere intellegibile”, solo nell’Intelletto (Idealismo). Ciò che prima appariva un esterno assoluto, adesso si risolve come costruzione interna alla Coscienza, la quale è diventata consapevole di sé, la Coscienza diviene Autocoscienza, irriducibile al mondo naturale; anzi: essa cercherà di appropriarsi delle cose facendo dipendere tutto da sé, togliendo l’alterità alle cose e riconoscendosi come unico ente indipendente. L’attenzione, da ora in poi, verrà spostata dall’oggetto al soggetto. Si è realizzata la triade dialettica: in sé (autocoscienza da sola), altro da sé (oggetto della certezza sensibile), ritorno in sé (intelletto cosciente di sé diventa autocoscienza e coscienza delle cose esterne).
2. L’Autocoscienza si manifesta dialetticamente in tre momenti:

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a. Servitù e Signoria. Quando l’Autocoscienza riconosce sé stessa come consapevolezza e fondamento dell’oggetto, essa cercherà di ricondurre a sé, come altrettanti oggetti, anche le altre autocoscienze, non riconoscendole come libere e indipendenti; ogni autocoscienza, per poter veder riconosciuta la propria libertà, dovrà lottare contro le altre autocoscienze per farsi riconoscere. Se nella fase precedente il riconoscimento era di tipo gnoseologico, adesso esso è sociale, poiché necessità del rapporto con l’altro. A tal proposito Hegel afferma che «l’autocoscienza raggiunge il suo appagamento solo in un’altra autocoscienza» (Cit. Fenomenologia dello Spirito). Il reciproco riconoscimento, però, non può avvenire tramite l’amore (come voleva il Romanticismo), poiché all’amore manca «la serietà, il dolore, e il travaglio del negativo». La lotta e il dolore (il negativo) portano l’autocoscienza ad una più alta consapevolezza: 
«L’individuo intende la sua autocoscienza come esser - per - sé: brama dunque l’annientamento dell’individuo estraneo. E in tal modo ciascuno dei due arrischia il massimo, cioè la propria vita, e questo loro rapporto è tale "che danno prova di sé e l’uno dell’altro con la lotta per la vita e per la morte […]. Essi devono affrontare questa lotta, giacché devono innalzare a verità la certezza loro di esser per sé, nell’altro e in loro stessi» (Cit. Fenomenologia dello Spirito).
Lo scontro, che non deve condurre alla morte, pena la distruzione dello stesso processo di riconoscimento, mette capo alla dialettica del riconoscimento servo – signore:
«In luogo dell’uccisione subentra l’assoggettamento. In essa il riconoscimento rimane unilaterale. Il nuovo rapporto è quello di "signore e servo ", in cui "due figure contrapposte della coscienza " sono messe in correlazione: "una è la coscienza indipendente alla quale è essenza l’esser - per -sé, l'altra è quella dipendente, alla quale è essenza la vita o l’esser -per -un - altro"» (Cit. Hartmann).

Vediamo, adesso, in cosa consiste questa figura. Il Signore è colui che, di fronte alla lotta, pur di essere indipendente, ha messo a rischio la propria vita, arrivando alla vittoria; il servo, invece, di fronte al rischio della morte, ha preferito gettare le armi e divenire schiavo, preferendo la vita alla libertà. La figura del servo signore rispecchia la società del mondo antico, in cui il Signore gode passivamente dei beni prodotti dal servo. Questi, però, attraverso il lavoro, ribalta la situazione. Il Signore, infatti, inizia piano piano a perdere la propria indipendenza sia perché nel servo non vede una autocoscienza libera con cui potersi confrontare, sia perché non producendo i beni per la propria sussistenza, essendo dipendente dal servo. Il servo, invece, acquista maggiore consapevolezza di sé, poiché ha vissuto i momenti della paura della morte, il servizio e il lavoro. Con il primo momento il servo ha sperimentato che il proprio essere è qualcosa di più profondo delle certezze naturali esterne: la realtà si “fluidifica” e vi è un ulteriore riconoscimento di sé. Il servizio impone autodisciplina, cioè controllo dei propri impulsi; il lavoro, invece, ha valore formativo (il lavoro “forma”) poiché imprime una forma alle cose, all’essere, una forma che è propria dell’Autocoscienza, la quale, così, si riconosce come indipendente dal signore e dalle cose materiali. Marx ha intravisto in questa figura la liberazione e la vittoria del proletariato.
Insomma, non stiamo facendo altro che analizzare il processo di riconoscimento dell’autocoscienza con l’Infinito e con la libertà. Ma ancora mancano ulteriori gradini.
b. Stoicismo e Scetticismo. Hegel sostiene che la libertà di sé percepita dal servo è rappresentabile tramite la figura dello Stoicismo. Il servo, in realtà, che libertà ha raggiunto? É una libertà mentale, libertà di pensiero, mera consapevolezza interna di essere autosufficiente rispetto alle cose e al Padrone. Il rapporto sociale di schiavitù, però, rimane. Lo Stoicismo rappresenta proprio la coscienza umana e la sua pretesa di riconoscersi come libera nei confronti del mondo esterno (le altre autocoscienze e il mondo materiale) sia sul trono sia in catene. Questa libertà di pensiero, non traducendosi in pratica reale, rimane astratta, pura convinzione ideale. Il passo successivo, che cerca di ottenere questa libertà in maniera un po’ più pratica, è lo scetticismo: la realtà esterna viene negata (sospensione del giudizio), poiché è vista come qualcosa di trasmutabile e, quindi, senza valore. Tale impostazione porta ad una contraddizione: la realtà è senza valore e senza verità; però, la stessa autocoscienza scettica, che “pensa” e “vive” pretende di essere vera e reale. L’Autocoscienza, negando la realtà, nega anche la sua razionalità, proprio perché la giudica trasmutabile, cioè soggetta a cambiamento. 

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c. La coscienza infelice. Questa figura non è altro che una evoluzione dello scetticismo. L’autocoscienza scettica proietta fuori di sé l’intrasmutabile (Dio, l’Infinito), inconciliabile con la mutabilità della realtà. Questo Infinito intrasmutabile, però, è vissuto come estraneo e la trascende. Sebbene vi è un primo abbozzo di Assoluto, questi, però, è vissuto come alienante, estraneo, troppo lontano, ultra trascendente.
Fermo restando che lo scetticismo di cui parla Hegel è una sua personale interpretazione (non sembra rispecchiare il vero scetticismo greco della sospensione del giudizio sulle dottrine filosofiche), il filosofo continua rintracciando una evoluzione della dottrina scettica in Pascal, il quale mentre da un lato negava consistenza e importanza alla realtà terrena, dall’altro lato elevava alla massima potenza la realtà di Dio. Dinanzi l’orizzonte dell’autocoscienza, così, si contrappone un Dio trascendente visto come qualcosa di irraggiungibile. Uomo (trasmutabile) e Dio (intrasmutabile) sono indissolubilmente separati: si ha la coscienza infelice, espressa dall’ebraismo (I momento), il cui Dio è trascendente e inaccessibile. La coscienza infelice è alienata (estraniata da sé): si è separata dalla propria essenza (la Ragione), l'ha messa fuori, ipostatizzandola in un ente estraneo (Jahvè). Nel cristianesimo medievale (II momento) l’intrasmutabile, però, prende sembianze umane (Dio incarnato, cioè l’Assoluto diventa Gesù). Il tentativo di conciliare l’Assoluto con la realtà, però, è fallito. Le Crociate, che rappresentano il tentativo di scovare Dio nel mondo attraverso la ricerca del santo sepolcro, contenente le spoglie di Gesù (Assoluto incarnato), ha condotto alla disfatta, poiché i crociati hanno trovato un sepolcro vuoto. Gesù Cristo, dal canto suo, prospetta la conciliazione tra finito e infinito in un al di là rimandato in un tempo ancora da compiersi. Inoltre, la conciliazione in Gesù pone alcuni problemi: è altro dall’uomo (è figlio di Dio); risulta lontano nel tempo e nello spazio per gran parte dell’umanità; pone la conciliazione con l’abbassamento dell’Infinito al finito, mentre un vero riconoscimento, invece, dovrebbe generare l’innalzamento dell’uomo all’Assoluto. Allora, sostiene Hegel, l’Autocoscienza troverà altre tre sottofigure attraverso cui “afferrare” Dio: la devozione; il “fare e operare”, secondo cui l’uomo cerca Dio realizzando le sue capacità, poiché sono dono di Dio: agendo, operando, facendo, tramite le proprie forze e le proprie capacità è come se Dio operasse attraverso gli uomini. Ma l’Autocoscienza si ritrova umiliata, poiché deve riconoscere, in ultima analisi, che è Dio ad agire attraverso di essa; la “mortificazione di sé”, attraverso cui l’Autocoscienza umilia se stessa per celebrare Dio (ascetismo, fustigazione etc.). 
La Ragione (Autocoscienza razionale) si manifesta dialetticamente in tre momenti: 

"Quando la coscienza scopre che l’al di là cui essa ha attribuito ogni realtà ed ogni perfezione non è al dì fuori, ma in lei stessa, toglie la trascendenza come tale e si riconosce in essa nuovamente. Questo ritorno finale a sé mostra il punto di vista della ragione " (Hartmann). Il corso storico porta l’umanità al Rinascimento e alla Nascita della Scienza moderna. La coscienza, dopo aver sperimentato l'inganno della scissione dell'ebraismo e del cristianesimo medievale, si ritrova presso di sé, ricercando sé stessa attraverso la natura (naturalismo ed empirismo), poiché in essa rintraccia un nesso con sé stessa: la matematica (scienza galileiana, esclusione della Chiesa e della religione dalla possibilità di fornire una interpretazione razionale della natura). L’autocoscienza, adesso, ha assunto un atteggiamento di quiete verso il mondo e lo può sopportare: infatti è certa di sé come realtà, ossia è certa che ogni realtà non è niente di diverso da essa. L’atteggiamento teoretico è adesso rigorosamente oggettivo. Il suo interesse è rivolto nuovamente al mondo, all’"al di qua", ma in modo diverso che nell’opinione e nella percezione, ma come specchio della legge razionale (ordine matematico) che vige dentro di sé. 

La prima tappa (tesi) è la Ragione osservativa: l’autocoscienza si rivolge al mondo della natura per ritrovarvi le sue stesse leggi; solo che la natura è considerata come un altro da sé. E’ la fase del naturalismo rinascimentale e dell’empirismo: gli oggetti, anche se razionali, non sono ancora considerati enti singoli facenti parte, assieme all’autocoscienza, dell’Infinito; ma sono considerati solo come enti razionali che condividono la razionalità matematica e l‘ordine che vive anche dentro l’uomo. La ragione osservativa, dall’osservazione e descrizione, tenta, poi, di ricavare la “legge” delle cose, sia sugli oggetti naturali, sia sull’uomo stesso. Hegel analizza due pseudo scienze a lui contemporanee, la fisiognomica (che pretende di dedurre il carattere individuale dai tratti somatici) e la frenologia (che pretende di dedurre il carattere dalla forma del cranio): queste conducono ad un “riduzionismo” tale da affermare che “l’essere dello Spirito è un osso”, sulla base dell’assurda convinzione che ciò che è esterno (la fisicità) sia specchio deterministico di ciò che è interno (la coscienza). La ricerca di sé attraverso l’oggettività della natura porta allo scacco. Attraverso lo studio della natura l’Autocoscienza cerca se stessa, la regolarità della legge razionale, ma non trova altro che l’ammissione che essa stessa è una cosa tra le cose: ciò è inaccettabile.

  Seconda tappa: la Ragione attiva. Negli oggetti della natura l’autocoscienza pretendeva di trovare la razionalità già realizzata con cui riconoscersi; adesso, invece, per riconoscersi come razionalità, non vuole più ridimensionarsi alle cose (l’osso), ma divenire razionale tramite, non le cose naturali, ma tramite l’attività. Se prima la “razionalità” si pretendeva di trovarla già pronta osservando la natura, adesso la razionalità si deve realizzare tramite l’attività dell’autocoscienza. La prima sotto figura è detta “il piacere e la necessità”: l’autocoscienza vuol trasformare la realtà secondo il proprio piacere, senza sentirsi a nulla assoggettato e da nulla condizionato, poiché foggia, trasforma la realtà come gli piace. In realtà, però, il soggetto che insegue le gioie mondane è indotto a farlo da un impulso necessario, che agisce, come dato, dentro di lui: sorge la necessità, che fa emergere la finitudine dell’individuo e la sua mancanza di libertà. La seconda sotto figura, “la legge del cuore e il delirio di presunzione”, in cui l’autocoscienza si oppone alla necessità del mondo: nasce l’atteggiamento sentimentalistico: l’autocoscienza vuole imporre all’oggetto il suo proprio sentimento, vuole imporre la sua legge interna alla realtà, migliorare il mondo secondo il proprio criterio (romanticismo). L’autocoscienza, però, si scontra con altre autocoscienze, le quali hanno anch’esse opposte leggi del cuore, progetti di miglioramento della realtà. Lo scontro, inoltre, avviene anche nei confronti della legge sociale, dell’ordine universale opprimente. L’Autocoscienza, allora, si eleva ulteriormente: la terza sotto figura è quella della “virtù e il corso del mondo”. Adesso il soggetto procede oltre il sentimento e le inclinazioni soggettive: si cerca una guida universale, valida per tutti, nella “virtù”. Questa, però, si scontra con la realtà concreta: esempio di fallimento è la Rivoluzione francese, in cui la virtù dell’illuminismo si è realizzata con il giacobinismo e il suo Terrore (le idee non possono dare lezioni alla realtà, poiché esse sono già la realtà).

Individualità in sé e per sé. Il terzo momento della Ragione pone l’autocoscienza al di fuori della precedente contraddizione, poiché alle pretese universalistiche subentra la dedizione ai propri compiti. Siamo nella sotto figura del “regno animale dello Spirito”, in cui si intravede la mentalità borghese, in cui il proprio interesse prende il posto del dovere morale: si curano i propri interessi come se ci si occupasse del dovere universale. Razionale, così, diviene la Cosa, cioè l’attività economica in cui si aliena il soggetto. La seconda sotto figura è quella “ragione legislatrice”: l’autocoscienza comprende che deve regolare la Cosa, l’attività economica, l’impegno negli affari, con leggi che valgano per tutti. La contraddizione sorge allorquando Hegel sostiene che la stessa massima universalmente valida (ad esempio: “non mentire”) è, in realtà, soggettiva, poiché il concetto di verità ad essa sottesa varia da individuo a individuo. A questo punto l’autocoscienza trapassa nell’altra sotto figura: la Ragione esaminatrice delle leggi, in cui sorge la pretesa di poter trovare leggi assolutamente valide. La Ragione “giudica” le leggi, nella speranza di trovarne qualcuna di universale. Però, sostiene Hegel, nel momento stesso che la Ragione dell’uomo intavola questa pretesa, qualunque cosa troverà, non sarà mai universale e incondizionata, poiché l’unica cosa incondizionata è la Ragione esaminatrice delle leggi: nel momento in cui la Ragione esamina e giudica le leggi, queste, di conseguenza, essendo fondate dalla ragione, non saranno incondizionate e universali.
A questo punto, ci si rende conto che il punto di vista della coscienza umana individuale non rende conto dell’universalità. Soltanto lo Stato, la “sostanza etica”, potrà dare contenuti universalmente validi, non gli individui. Solo la prospettiva intersoggettiva (lo Spirito Oggettivo) potrà rendere ragione dell’Assoluto. Il Dio di Hegel è la socialità storico – politica dello Stato: esso fonda l’individuo, i suoi contenuti, e realizza l’incontro tra finito e Infinito.


Riflessioni
Lungi dal ricondurre l’hegelismo a filosofia astratta, possiamo dire che “Hegel ci presenta l’autocoscienza come un’attività essenzialmente pratica e la serie dei suoi momenti come una serie di sforzi pratici, storicamente circostanziati, verso l’emancipazione della personalità umana” (De Ruggero).



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