IL PRIMO DOPOGUERRA: CRISI ECONOMICA, POLITICA E DEMOGRAFICA


All'indomani della conclusione della Grande Guerra, l'Europa attraversò una crisi su più fronti mai vista prima.

Crisi demografica

Sebbene il primo conflitto mondiale causò circa otto milioni di vittime sui campi di battaglia, ciò che produsse il tracollo demografico fu l'"influenza spagnola". Tra il 1918 e il 1921, l'epidemia più terribile della storia umana costò la vita a più di 50 milioni di persone, specie di giovane età (per un approfondimento sull'influenza spagnola clicca qui). Possiamo ben dire che da un lato il conflitto bellico, dall'altro l'epidemia, colpendo la popolazione più giovane, generarono effetti catastrofici sull'economia internazionale, poiché sia la domanda (la richiesta di consumi) sia l'offerta (meno produzione a causa di minor manodopera) diminuirono fortemente.

Crisi economica

Crisi monetaria

Gli stati che parteciparono alla prima guerra mondiale, avevano eroso le proprie economie a causa delle ingenti spese belliche sostenute. Buona parte dei paesi europei, infatti, contrassero un alto debito pubblico che fu finanziato tramite l'aumento della stampa di carta moneta superiore alla quantità di riserve auree presenti nelle rispettive banche centrali. Questo, però, comportò la svalutazione della valute, che a sua volta generò una forte inflazione (cioè l'aumento dei prezzi dei beni, specie di quelli di prima necessità). Nel 1922, proprio per evitare il tracollo monetario, fu introdotto il Gold Exchange Standard, che prevedeva la stampa di carta moneta in base anche alle riserve di dollari. Un sostegno maggiore alle monete in maggior difficoltà.

Crisi produttiva e riconversione industriale

La gran parte delle industrie che durante la guerra avevano prodotto armi (un esempio è la FIAT), alla conclusione del conflitto dovettero convertire la loro produzione da bellica a civile. Questo, però, imponeva una gran quantità di capitali che non sempre erano a disposizione delle aziende, le quali non erano in grado di acquistare nuovi macchinari o di pianificare un nuovo assetto produttivo. Prese avvio, dunque, una crisi industriale che ebbe come conseguenze fallimenti, licenziamenti, salari bassi, povertà, disoccupazione, colpendo in maggior misura ceto operaio e ceto medio. Nei vari paesi europei, specie in Italia e Germania, la crisi si trasforma in lotta politica per la tutela economica dei ceti più colpiti dagli effetti economici del dopoguerra: si parla di Biennio Rosso.

Il crollo della produzione industriale riduce drasticamente il commercio internazionale, facendo vacillare il nascente processo di globalizzazione dei mercati.

                                             

Crisi sociale (Italia)

La conclusione della guerra aveva prodotto disillusioni in seno alla società civile e agli ex combattenti. I vari ceti sociali avanzavano prerogative ben specifiche, o che li ripagassero dei sacrifici sofferti o che tutelassero i loro interessi economici in una fase in cui l'economia viveva una grave contrazione.

In Italia, gli operai delle fabbriche - di quelle fabbriche che avevano spremuto la forza lavoro e che rischiavano di chiudere - chiedevano aumenti salariali e compartecipazione al potere gestionale sul modello dei Soviet; dal punto di vista politico essi, sotto la guida del partito socialista, optavano per la rivoluzione sociale come era avvenuta in Russia.

I contadini chiedevano una riforma agraria che distribuisse la proprietà della terra. Tutelati dal partito socialista, la loro protesta sarà accompagnata anche dalle leghe bianche, organizzazioni di tutela di stampo cattolico ispirate alle politiche di Don Luigi Sturzo, che prevedevano la soluzione dei conflitti sociali tramite una collaborazione interclassista, onde evitare la conflittualità tipica del socialismo, che premeva sulla lotta di classe e la conseguente instabilità sociale.

La media borghesia era la classe sociale rimasta, per così dire, "scoperta" da qualunque forma di organizzazione che la rappresentasse. Se il socialismo era vicino ad operai e contadini, la classe media non poteva che essere accostata al liberalismo che, sul finire della guerra, aveva palesemente mostrato il suo fallimento. Chi rappresentava, adesso, le sue prerogative? Non avendo nessuna tutela, si avvicinò ai movimenti autoritari di estrema destra, costituendo la base del consenso fascista da lì a breve.

I reduci di guerra, tornati alla vita civile, vissero un grave senso di insoddisfazione e rabbia. 
Anche loro, come gli altri, si ritrovarono disoccupati, emarginati, disadattati, senza alcun riconoscimento del loro prestigio. La sfiducia verso lo stato liberale e il fastidio verso la lotta di classe di ceti bassi, produsse un senso di risentimento e di bisogno di identità. Le associazioni di ex combattenti pensarono ai risarcimenti, alle pensioni, all'assistenza per orfani e vedove. La Federazione Arditi d’Italia - truppe d’assalto impiegate a partire dal luglio 1917 per superare la stasi bellica italiana -si fecero portavoce dell'etica della guerra, fondata sul mito della forza, sull'eroismo, disgustati dalla mediocrità delle vita civile. L'odio contro il socialismo pacifista e contro i liberali della vittoria mutilata, generò un bisogno di distinzione sociale e di rappresentazione che troverà ascolto nel Fascismo.


La crisi politica e il biennio rosso

La crisi in Italia

La crisi politica nota con il nome di Biennio rosso, indica il periodo di rivolte e scontri di stampo socialista lungo gli anni 1919 e 1920. La crisi della democrazia liberale aveva lasciato a sé una società destabilizzata, non più in grado di risolvere la crisi economica, di soddisfare le vari richiesta sociali e di tutelare i diritti delle fasce più deboli. Da qui fino all'affermazione del fascismo nel 1922, la democrazia si eclisserà gradualmente.

I movimenti estremi di destra e sinistra si contendono la supremazia politica, alternando momenti di tensione nelle fabbriche tramite occupazioni, scioperi bianchi, serrate, in cui i contendenti, capitalisti da un lato e ceto operaio dall'altro, si scontrano senza alcuna possibilità di mediazione. Se gli operai sono tutelati dal socialismo, i proprietari delle fabbriche non hanno più alcuna forma di tutela, specie da parte dei governi liberali post guerra (vedi ultimo governo Giolitti), che rimangono immobili di fronte alla lotta sociale, in corrispondenza del principio giolittiano del non intervento statale nella lotta di classe. All'incalzare della forza di un nemico, si profilava l'inabissamento dell'altro, la cui debolezza risiedeva nella mancanza di una qualche forma di rappresentanza che ne tutelasse i diritti. Gran parte della grande industria, infatti, vedrà di buon occhio l'esperienza dai primi fascisti e il loro ruolo di contenimento della spinte rivoluzionarie rosse.

Discorso analogo per il settore agrario. I contadini, che richiedevano la riforma agraria, grazie al supporto delle leghe rosse (socialiste) e bianche (cattoliche), avevano ottenuto miglioramenti delle condizioni contrattuali. I proprietari terrieri, per contro, lamentavano, come già gli industriali, la mancanza di qualche forma di difesa dei loro interessi. All'indifferenza dello stato liberale, sopperì lo squadrismo, bande armate e pagate dai proprietari che di lì a poco assumeranno l'identità fascista, per convenienza sia degli agrari che del nascente fascismo.

Cambiamenti politici internazionali

Con l'avvento del comunismo in Russia e il tentativo contro rivoluzionario delle armate bianche (ex zaristi sostenuti della potenze europee liberali), siamo all'inizio di quello che Hobsbawm chiama "Il secolo breve", che vedrà contendersi il controllo politico europeo tra comunisti e liberal - capitalisti.

Il 1 marzo 1919, la Terza Internazionale socialista - chiamata Comintern, poichè adesso il socialismo era rappresentato dall'ala estrema del Partito Comunista - impose a tutti i partiti socialisti europei l'allineamento al partito russo, in maniera tale da poter realizzare l'obiettivo internazionalista di esportare la rivoluzione al di fuori della Russia. Nel luglio 1920, il II Congresso dell’Internazionale comunista, espose i 21 punti che Lenin impose ai partiti socialisti europei per aderire al Comintern:

A. estromissione e rottura con socialisti riformisti e centristi, poiché la collaborazione con la borghesia capitalista è una grave forma di deviazionismo dal marxismo ortodosso, che condurrebbe allo spegnimento della fiamma rivoluzionaria;

B. appoggiare la decolonizzazione antimperialista: colpire il colonialismo, significava colpire i paesi capitalistici che sfruttavano le risorse dei paesi più deboli.     

                                                       

  C. sostenere la Russia contro i tentativi controrivoluzionari;

D. subordinazione di tutti i partiti comunisti nazionali al Comintern, con l'intenzione di intervenire nella gestione interna dei vari partiti socialisti nazionali.

La presenza crescente del comunismo, specie in Italia e Germania, provocò l'aumento degli scioperi operai, che chiedevano aumenti salariali e diminuzione dell'orario lavorativo. Durante il biennio rosso nascono i Consigli operai, che oltre le rivendicazioni economiche pretendevano la compartecipazione alla gestione aziendale sul modello dei Soviet russi.

Il biennio rosso in Germania si concretizzò in una crisi politica generata da una terribile crisi economica. La repubblica di Weimar visse una crisi monetaria che vide il marco svalutarsi in maniera drastica, riducendo al minimo il potere d'acquisto dei ceti più deboli. Le rivendicazioni comuniste della Lega di Spartaco - i cui leader erano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht - portarono ad un tentativo di ribaltamento politico istituzionale, poi soffocato nel sangue dal governo socialdemocratico. 

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